Politica

Quante gelosie per Massimo Bray outsider alla cultura

Attacchi da destra e da sinistra per il neotitolare del ministero di San Francesco a Ripa. Colpevole di non avere sangue “nobile” e di essere d’alemiano. Ma dalla sua ha anche qualche merito…

di Giuseppe Frangi

Tra le nomine di Enrico Letta, quella di Massimo Bray al ministero della Cultura ha spiazzato un po’ tutti. Pochi sanno chi è, dato che è personaggio abbastanza estraneo a talk show, accademie o salotti vari. Questo gli va certamente a merito, anche se qualcuno la pensa diversamente. Come Enrico Galli Della Loggia che gli ha tirato un siluro dalle colonne de Il Corriere della Sera, con tanto di richiamo in prima pagina. L’accusa, è l’appartenenza politica al Pd (ma questo è un governo nato come “politico”) e il suo riferimento all’area di Massimo D’Alema, dato che dirige la rivista della sua Fondazione Italianieuropei. Oggi Francesco Bonami, uno dei più influenti critici d’arte sulla piazza, interviene su Il Corriere  più che per difendere Bray, sul quale sospende il giudizio, per attaccare Galli, dicendo che la sua è stata una reazione di frustrazione: avrebbe voluto essere lui il ministro per la Cultura, perché in tale direzione si era mosso negli ultimi tempi.

A Bray sono arrivate anche le fiondate di Tomaso Montanari, storico dell’arte, che dal suo blog sul sito del Fatto da tempo lancia durissime battaglie contro la devastazione del patrimonio culturale (la più famosa è quella che ha portato a scoprire il saccheggio della biblioteca napoletana dei Girolamini). Montanari sposa stranamente il giudizio di Galli Della Loggia (“da sottoscrivere parola per parola”) ma alla fine si rende conto che non si può essere così oltranzisti e che una chance va data a Massimo Bray: quindi, dice, di attenderlo al giudizio dei fatti.

Ma cosa c’è nel curriculum di Bray da destare tanti sospetti? Diciamo che non ha sangue nobile, nel senso che non ha titoli, libri, onorificenze accademiche. Ha lavorato sul campo portando anno dopo anno la Notte della Taranta ad essere il più importante festival di musica popolare d’Europa: un buon modello di rivitalizzazione di un patrimonio come quello delle tradizioni salentine. Come recita lo statuto della Fondazione l’obiettivo è «lo studio del patrimonio etnografico favorendo  manifestazioni culturali, musicali, sociali e di comunicazione, e  progetti di sostegno e sviluppo della ricerca sul fenomeno del  tarantismo, delle tradizioni greche e salentine, con specifico  riferimento alla musica popolare». Complementariamente Bray ha diretto anche la Treccani, traghettando quella storica e istitituzione verso il web. Da utente posso dire che il traghettamento è stato felice e che oggi la Treccani è un eroico e duttilissimo presidio della lingua italiana nel mare caotico e selvaggio di internet.

Evidentemente il profilo di Bray ha risvolti poco accademici e molto operativi. Basta scorrere il suo blog navigare nel suo sito: si leggono le riflessioni di un uomo senza spocchia, a cui piace la cultura, che pensa non solo a come difenderla ma anche a come farne un’esperienza viva. Data la sua storia non ci sorprende che sia attento ai gioielli della periferia, più che ai monumenti consacrati. Festeggia il ritorno della porta di bronzo del Duomo di Ravello e lancia l’allarme per la chiusura del Museo degli Ipogei di Trinitapoli. La prospettiva quindi è giustamente larga , come si confà alla natura del patrimonio culturale quale quello italiano. Dunque, per adesso c’è solo da augurare buon lavoro, ministro Bray. Un ministro che, per quel che si intuisce, pensa che il suo sia anche un “bel” lavoro.


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