Cultura

L’atlante della Chiesa

La Chiesa senza mondo prepara il mondo senza Chiesa

di Redazione

Non per la prima volta nella bimillenaria parabola del cattolicesimo risuonano le profezie sulla sua scomparsa. Perfino nelle gerarchie ecclesiastiche. Per questo l’abdicazione di Benedetto XVI è apparsa a molti fedeli il sigillo della rassegnata impotenza del pastore supremo rispetto alla sua missione: convertire il mondo. La spirale regressiva scaturisce da una crisi di fede, sfocia in una crisi di comunicazione e produce la crisi dell’identità cattolica che insterilisce l’istituzione ecclesiastica.

Crisi di fede significa laicamente crisi di fiducia. Quella che un fine teologo come il professor Joseph Ratzinger sperava di guarire riconiugando fede e ragione. Ricetta intellettuale, calligrafica ma algida, dunque incongrua alla funzione di un pescatore d’anime. Frutto di fin troppo ragionevole pessimismo, giacché scaturiva dalla convinzione che specie in Europa “non esiste più un’atmosfera cristiana diffusa”. Di qui l’imperativo di una “Chiesa di minoranza”, avanguardia militante forgiata da “piccoli gruppi di persone veramente convinte e credenti che agiscono di conseguenza”. Ma può la Chiesa che si determina universale affidarsi ai carismi di un pugno di eletti?

Per riconquistare il mondo, per obbedire alla missione ad gentes, radice della geopolitica religiosa del papato e specifico stigma gesuitico, Francesco invita a respingere la tentazione elitista. Secondo il Pew Research Center, nel 2010 i cattolici erano 1 miliardo e 94 milioni, la metà abbondante dei cristiani, più di un settimo dell’umanità. La curva di crescita dei cristiani — fedeli di Roma inclusi — non è distante da quella che segnala l’aumento della popolazione globale. Il baricentro della Chiesa, in termini di anime affiliate, è slittato dall’Europa alle Americhe e all’Africa. Nel 1900 si stimavano 266,5 milioni di cattolici nel mondo, di cui oltre 200 in Europa. Nel 2000, su oltre un miliardo di cattolici gli occidentali erano solo 350 milioni, metà della somma di africani, latinoamericani e asiatici (leggi: filippini). I pastori, però, cambiano più lentamente del gregge.

Di qui uno squilibrio geopolitico: vi sono meno sacerdoti dove ne occorrerebbero di più e diocesi demograficamente declinanti a forte incidenza clericale. La maggioranza dei cardinali pertiene tuttora all’Occidente (113 europei, 52 americani, 20 asiatici, 18 africani e 4 oceanici), come quella dei vescovi (1.914 americani e 1.606 europei contro 758 asiatici, 697 africani e 129 oceanici) e dei sacerdoti (190 mila europei, 122 mila americani, 57 mila asiatici, 37 mila africani e 5 mila oceanici). Per la Chiesa di Roma perdere l’Europa equivale a sentirsi tremare la terra sotto i piedi. Difficile immaginare una cattolicità a rete, un universalismo a-centrico.

La battaglia più aspra sarà per Francesco quella ad intra: ripulire e riordinare il cortile di casa, la curia romana e la Chiesa italiana, nel segno conciliare della collegialità e della trasparenza. Tuttavia, il papa sa bene che il successo nella quasi impossibile missione domestica dipenderà in buona parte dal raccolto che saprà mietere nel mondo. Per rianimare e riunire il gregge cattolico, così evitandone la frammentazione lungo linee di faglia locali o nazionali, dal forte sapore settario. In gioco è l’universalità della Chiesa di Roma. Hic Petrus hic salta.

Lucio Caracciolo, Repubblica 4- aprile – 2013

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