Non profit

Se chiedete troppo spesso, vi diranno no

Third Sector si chiede: raccolgono di più le non profit che martellano i sostenitori con le loro necessità, o quelle che li lasciano in pace? Una serie di esperienze interessanti fa capire quale potrebbe essere la giusta strategia

di Gabriella Meroni

"Dona ora!", "Aiutaci!", "Fai qualcosa anche tu!": questi più o meno, sono gli appelli-ritornello che le associazioni non profit rivolgono ogni giorno ai potenziali donatori. Un martellamento che, a lungo andare, rischia di avere effetti contrari a quelli attesi. E' questo l'avvertimento che il periodico specializzato Third Sector lancia alle associazioni in un lungo servizio che mette a confronto l'approccio "hard" (più chiedi, più ti daranno) e quello "soft" (non essere insistente altrimenti ti manderanno a quel paese) dal punto di vista della reale efficacia.

"I sostenitori hanno bisogno di tempo per costruire un vero legame con una causa", spiega il consulente Giles Pegram. "Se continuate a chiedere, chiedere, chiedere, il legame non si crea, e il potenziale donatore non riceve niente". L'ideale per Pegram sarebbe invece quello di comunicare innanzitutto un sentimento positivo al sostenitore: "Chiedetevi: il destinatario di una nostra comunicazione si sentirà meglio dopo che l'avrà letta? Se la risposta è no, dovete cambiare qualcosa".

Lo scopo, continua l'articolo, non è infatti guadagnare un donatore nel breve periodo, per poi perderlo subito dopo, ma costruire una relazione stabile. Come è riuscita a fare la charity World Land Trust, il cui presidente John Burton spiega di essere riuscito a guadagnare e mantenere un nocciolo duro di sostenitori fedeli grazie a una comunicazione calda e poco aggressiva. "Anche noi facciamo appelli alla donazione, ma non sono mai troppo forti", spiega. "Diciamo chiaramente che abbiamo bisogno di fondi, ma evitiamo le immagini emotive e scioccanti, preferendo comunicare quanto di costruttivo riusciamo a fare". Anche la periodicità delle comunicazioni è importante: inutile inviare una newsletter settimanale; a World Land Trust bastano tre invii l'anno e un bollettino mensile scaricabile dal sito.

"In media le charity inviano otto newsletter all'anno", esemplifica un altro esperto, Stephen Pidgeon dell'Institute of Fundraising, "ma spesso sono scritte male, troppo lunghe, noiosissime da leggere e vengono cestinate subito. Il mio suggerimento è: due newsletter all'anno, ma fatte bene. Volete un esempio? La Royal British Legion's Poppy Press newsletter, che esce tre volte l'anno, ma tutti la aspettano".

Sì, però intanto i bisogni sono tanti, e i fondi servono, si potrebbe obiettare. E se non si chiedono, nessuno viene a bussare alla porta con una valigetta piena di banconote… E per i fautori del "non chiedete troppo, per non ottenere l'effetto contrario", ci sono anche quelli che hanno ottenuto buoni risultati senza farsi scrupolo di insistere.

E' il caso della YMCA, l'associazione giovanile resa famosa dalla canzone dei Village People, che fino a marzo 2011 diffondeva una newsletter diretta ai sostenitori che conteneva un sobrio appello a donare nella mail che la accompagnava ma nessun appello nella newsletter stessa. Risultato: 25 sterline in media donate dal 4,2% di chi riceveva la mail. A settembre 2011, la svolta: un appello pressante contenuto nella newsletter stessa, con tanto di dettagliata spiegazione dei bisogni, di quello che l'associazione avrebbe potuto fare con diversi "tagli" di contributo e le storie di alcune persone beneficiate dalle donazioni precedenti. Risultato: gli introiti sono aumentati del 25%.

Third Sector presenta anche un case study che riguarda la World Society for the Protection of Animals, che nel 2011 lanciò una community online di sostenitori che si erano impegnati in donazioni mensili, chiamato Animal Protector. Nel lanciare il network, che avrebbe preso vita anche su un sito dedicato, il responsabile Kerry Vandersypen chiese via mail ai sostenitori che cosa si aspettavano dall'associazione, e a risposta unanime fu "vogliamo sapere se i nostri solddi fanno veramente la differenza". Il sito venne allora progettato per rendere conto puntualmente dello stato di avanzamento dei progetti finanziati dai donatori, che sono stati invitati a commentare e a dare suggerimenti su come migliorare il lavoro dell'associazione.

"Abbiamo visto gi abbandoni calare dell'1,5%, che è molto se si considera che abbiamo 70mila donatori mensili", spiega Vandersypen. "Inoltre ben il 5,5% dei donatori ha aumentato liberamente la propria quota in media di quasi 3 sterline al mese".


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA