Politica

Sapelli: una troika “ucciderà” l’Europa

L'economista dell'Università Statale di Milano si scaglia contro le scelte europee: «si sta passando dalla follia teutonica alla follia tecnocratica europea»

di Redazione

Nel 1974 le truppe turche, sotto il comando del governo di Bülent Ecevit, segretario generale del partito ataturkiano, allora aderente all’Internazionale socialista, invasero Cipro. Era il punto culminante di una lunga crisi che sconvolgeva la storia di Cipro sin dalla Seconda guerra mondiale e che aveva avuto una prima acme con l’avvento della dittatura dei Colonnelli che appunto in quell’anno terminava. Le tensioni tra la popolazione greca e la minoranza turca erano andate via via crescendo e i militari greci avevano fomentato i risentimenti dei greci verso i turchi.

L’arcivescovo Makarios tentò nel luglio del ’74 di liberarsi dal controllo del governo ateniese, ma il suo sforzo altro non fece che rafforzare il governo dei militari greci a Cipro e indusse i turchi, che sino ad allora erano rimasti a guardare il conflitto intergreco, a invadere l’isola. Va ricordato che questo intervento diede il colpo finale alla già traballante giunta militare greca. Ma i turchi avevano già proclamato una repubblica turca di Cipro Nord, che ancora oggi divide l’isola con una sorta di cortina di ferro guardata a vista dalle forze dell’Onu.

In tutto questo cruciale processo, gli inglesi hanno sempre mantenuto le loro basi militari nell’isola, da sempre una colonia britannica con una popolazione che all’80% si considerava greca e per il 20% turca. Gli inglesi di fatto hanno sempre appoggiato i turchi rifiutando l’Enosis, il ricongiungimento, che i greci sempre sostenevano storicamente. Il “divide et impera” britannico si rendeva manifesto anche in mezzo al Mediterraneo. La posizione inglese di fatto prevalse, anche se nell’agosto del 1960 essi diedero l’indipendenza all’isola e Makarios divenne ufficialmente presidente di Cipro che entrava a far parte del Commonwealth.

Ricordo questi fatti per dire che Cipro non è un’isola sperduta in mezzo al Mediterraneo, ma è invece il riflesso speculare delle contraddizioni europee.

In primis, è un segmento della tragedia greca che si sta svolgendo sotto i nostri occhi grazie alla politica dell’austerità dell’Ue. In secundis, esprime bene il dramma della Turchia che, dopo la sua finalmente riacquistata identità ottomana, e quindi islamista moderata, continua a trovare dinanzi a sé l’ostilità franco-tedesca che impedisce a un Paese fondatore della Nato, e che ha un trattato militare con Israele, di aderire all’Unione europea dopo che già nel 1983 il grande primo ministro turco Ozal, che guidò il primo governo civile dopo il ciclo delle dittature militari intermittenti, ne aveva fatto una spontanea ed elaborata richiesta in un libro sull’Europa e la Turchia che resterà famoso.

Oggi Cipro ha trasformato la politica internazionale di non allineamento tra blocco capitalista e blocco comunista in una politica di trasformazione dell’isola in un paradiso off-shore sia per i capitali border-line che provengono dalla Russia post-sovietica, sia per quelli ultra border-line che provengono dal plesso mediorientale, soprattutto da Amman, perché la capitale giordana, dopo il crollo di Saddam Hussein, è divenuta una metropoli che raccoglie tutta la ricchezza dell’intermediazione finanziaria che esala come un vapore incandescente da quelle terre tormentate.

Orbene, Cipro, nella sua tormentata storia, ha naturalmente non rispettato i parametri di Maastricht sull’indebitamento. Non l’hanno fatto né i governi comunisti col loro deficit spending welfaristico, né quelli conservatori con il loro welfare state clientelare.

A mio parere ci sarebbe stato poco da preoccuparsi, perché Cipro produce lo 0,1% del Pil dell’Ue a diciassette stati membri. Naturalmente le banche cipriote sono sull’orlo del fallimento tecnico, dopo Basilea 3 appesantite da masse di derivati e da incagli esaltati da quella natura di rifugio border-line che ho ricordato prima. Su quest’isola così ricca di storia e tormentata, si è abbattuto il maglio della tassa del 6,75% sui depositi al di sotto dei 100.000 euro, e del 9, 9% su quelli superiori a tassa cifra. Questa tassa, cito dalla prima pagina del Financial Times di ieri “è stato richiesto da un gruppo di paesi creditori, guidati dalla Germania, per ridurre il costo del salvataggio da 17 miliardi di euro”.

Questo ha fatto dire al Presidente cipriota Anastadiades: “Cipro è in uno stato d’emergenza”. Ebbene, io mi chiedo da chi siano composti i quadri e gli apparati della Banca centrale europea e del Fondo monetario internazionale. Credo che siano composti da degli esseri sconosciuti alla mia cultura che fa del rispetto della storia e delle indicazioni che da essa provengono la guida dell’azione. Se ci si fosse ricordati dell’intrigo storico-internazionale che è Cipro, ci si sarebbe mossi con più attenzione. Infatti, il problema non è del contagio economico della situazione cipriota, ma invece del contagio da panico bancario e quindi del ritiro dei depositi delle banche europee che non diventano più, con i paesi che li ospitano, depositarie di ultima istanza dei risparmi e dei deposti dei loro clienti.

Chi conosce la storia dei panici bancari sa che possono capitare situazioni di ritiro in massa dei depositi in zone territoriali o in stati con una situazione geostrategica molto meno complessa di quella di Cipro. Questo perché, così facendo, il Consiglio europeo che ha permesso questa misura ha calpestato gli articoli del trattato costitutivo dell’Europa che assicurano il rispetto della circolazione dei capitali. Quindi bisogna chiedersi perché un simile atto è stato fatto. Hugo Dixon sull’International Herald Tribune di ieri 2013, nel sua solito editoriale colonna afferma che “imporre una tassa del 6,75% sui depositi garantiti è un furto legalizzato. Cipro dovrebbe invece applicare un’imposta superiore sui depositi non garantiti e non toccare i piccoli risparmiatori”. Ossia: tassa coloro che fanno passare per Cipro grandi capitali, ma risparmia i soldi del popolo minuto.

Invece, è proprio su quest’ultimo che ci si è accaniti non dicendo una parola sul fatto che se si vuole veramente porre le basi per la salvezza finanziaria di Cipro bisognerebbe chiamare alla lotta per fare pulizia nel riciclaggio dei capitali off-shore che vi transitano: insomma, si dovrebbe controllare che si prendessero sul serio anche a Cipro tutte quelle misure che tutte le banche europee pongono in essere per ottemperare alle regole internazionali della lotta contro il terrorismo e il denaro sporco.

Tralascio altre considerazioni su un problema diplomatico intricatissimo che questa misura solleverà. Il Presidente del Consiglio inglese, David Cameron, ha già rassicurato i militari della grande base inglese che ha sede nell’isola e le loro famiglie, che saranno risarciti dei danni subiti. Si può immaginare l’ondata di euroscetticismo che la decisione di cui abbiamo detto provocherà in un Regno Unito che sempre più si allontana dall’Europa. Ciò che mi preoccupa è che si sta passando dalla follia teutonica alla follia tecnocratica europea. E il riferimento ai folli Re di Shakespeare è immediato.

da Il Sussidiario.it


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