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I papabili di Communio

Sono in cinque in conclave ad aver seguito le orme di Ratzinger, Von Balthasar e de Lubac. Cosa significa questa centralità di un'esperienza nata negli anni '70? Lo abbiamo chisto a Elio Guerriero, già respondabile dell'edizione italiana della prestigiosa rivista

di Lorenzo Alvaro

C'è una sottile filo rosso che attraversa la Chiesa Cattolica negli ultimi 50 anni. Si chiama “Communio. International Catholic Review”, una rivista internazionale di teologia e cultura, fondata nel 1972 e pubblicata in diciassette edizioni. A fondarla fu, insieme a Hans Urs von Balthasar e Henri-Marie de Lubac, proprio Joseph Ratzinger, Papa Benedetto XVI. Ed è proprio questo il contesto in cui nasce la stima tra il Papa emerito e Angelo Scola, oggi indicato come probabile successore.

Il filo rosso però non si ferma qui. Già perchè nel Conclave di questi giorni in cappella Sistina sono seduti altri quattro discepoli di quell'esperienza teologica e filosofica: ci sono lo svizzero Kurt Koch, il canadese Marc Ouellet, l'austriaco Cristoph Schönborn e l'ungherese Petér Erdő. Una piccola rivista trimestrale, un sottile filo rosso, che ha già donato alla Chiesa un Sommo Pontefice e potrebbe finire per regalarne un secondo. Ne abbiamo parlato con, Elio Guerriero, che ha curato l'edizione italiana delle opere del fondatore Von Balthasar ed è stato l'editore responsabile di Communio in Italia.
 

Elio Guerriero

Tutto ha inizio negli anni 70. Com'è cominciata?
Si, la rivista ha origine negli anni 70 all'interno della Commissione Teologica Internazionale. Di cui facevano parte tutti i fondatori. Il principio è avvenuto nel gruppo di lingua tedesca e il peso maggiore fu portato avanti da Von Balthasar con la forte ispirazione di Joseph Ratzinger. Poi è venuta quella italiana. Credo per altro che sia sottovalutato il contributo di Benedetto XVI al Concilio. È stato uno dei padri, non solo più ascoltati, ma con le intenzioni più profonde. Aveva questa visione saldamente riformista.

In effetti Ratzinger è passato per essere un conservatore rigido. In realtà sin dagli inizi è sempre stato tutt'altro…
Questa distinzione tra progressisti e conservatori non rende ragione della realtà delle cose nella Chiesa. Ratzinger aveva, con il decisivo contributo di de Lubac, una forte idea della continuità nella tradizione cristiana unita alla certezza della successione apostolica che ha poi sviluppato nel Suo Magistero. Certamente ha avuto un ruolo centrale e da protagonista nel rinnovamento. Basti pensare che, prima di diventare Esperto ufficiale al Concilio, era consigliere personale del Cardinal Josef Frings, che ebbe un ruolo importantissimo in modo particolare per quello che riguarda la “Costituzione Dei Verbum”, che è quella sulla rivelazione. Ratzinger stesso, da Papa, l'ha definita la Costituzione più importante del Concilio.

In cosa consiste e perchè è così importante?    
Sul concetto di rivelazione erano in campo due diverse interpretazioni che vedevano contrapposte la scuola classica e la scuola nuova. La prima univa la rivelazione alla tradizione mentre la seconda le divideva. Per Ratzinger non è così. Sosteneva, e oggi tutti gli danno ragione, che esiste un evento rivelativo che è Dio. Questo evento viene percepito e accolto dagli uomini di Dio. E sono questi uomini di Dio che lo fanno diventare parola scritta. Ma la parola scritta non è mai priva di un letto in cui è depositata. C'è sempre una comunione che accoglie e porta avanti questa parola. La parola in sostanza è inserita da sempre in una realtà viva che è la Chiesa che la trasmette giorno dopo giorno. Non esiste la possibilità di azzerare questo percorso. È una strada. È qui che nasce la diversità di vedute tra Ratzinger e altri teologi e la necessità di Communio. La rivista infatti insisteva appunto nell'accoglienza della parola di Dio nella communio, nella comunità della Chiesa. È la parola ad essere riformatrice e innovatrice non gli uomini. Ratzinger infatti si è molto appoggiato a de Lubac portando avanti questo pensiero, perchè era colui che ha riportato la patristica nella visione cristiana. I Padri sono proprio coloro che accolgono la parola e la tramandano. È una strada insomma che non può essere interrotta, che inizia con Gesù Cristo, che affida la parola ai discepoli i quali a loro volta la affidano a dei successori, in un percorso che continua imperterrito nella storia. Altro non è, questa strada, il legame tra questo evento rivelativo e l'Eucarestia, il Sacramento della presenza di Cristo nella Chiesa.          

Veniamo a Scola. Communio torna al centro della Chiesa Cattolica. Come se lo spiega?  
È una persona che ha fatto un Suo percorso. Percorso importante. Non bisogna vedere qualcosa di meccanico. Scola ha avuto tanti apporti nella sua formazione, tra cui Communio ma che è solo uno dei tanti. Lui, brillante com'è, ha cercato di mettere insieme tutti questi aspetti. C'è in Lui tutta una riflessione, che viene dalla sua collaborazione con l'Isitutio Giovanni Paolo II e la sua funzione della Pontificia Università Lateranense, sulla collaborazione mondiale. Teniamo presente che dalla Lateranense dipendono 15 università, un'enormità. Scola ha imposto un giro di professori, tra Roma e il sud America principalmente,  proprio per favorire questo senso della comunione e dell'ecclesialità allargata. In più c'è il tema dell'antropologia che si basa sulla convinzione che Cristo sia venuto “per homines”, per gli uomini. Ha infatti questa capacità, molto significativa, di allargare il discorso strettamente teologico alle altre religioni e al mondo laico.

In Conclave oltre a Scola, vengono da Communio in quattro. Può avere un peso?
Non nel senso politico. L'idea di Von Balthasar non era di avere una rivista centralizzata ma avere una teologia comune. Tanto che ogni redazione di Communio deve incarnarsi nella Chiesa locale. Non è un gruppo di pressione né un club. Pensi che, così com'è strutturata, la rivista vede le redazioni nazionali, circa una decina, autonome e indipendenti.       

Dal punto di vista però teologico è importante…  
È certamente evidente la centralità che ha assunto l'esperienza di Communio nella Chiesa. Ma insisto: è il contrario di un club o un gruppo di pressione o potere interno. Non faranno mai un cartello per eleggere un Papa amico. Sono tutti al servizi della Chiesa e ognuno dà visibilità e valore alla propria realtà territoriale. Papa Benedetto XVI l'ha detto testualmente: si può andare oltre, non è necessario restare legati a quell'esperienza. L'importante è che si tramandi da una parte il senso vivo della Chiesa e dall'altra la necessità del contributo dei fedeli.

È una sorpresa o si era reso conto già in itinere della portata di quel lavoro editoriale?
Sono meravigliato. Quando abbiamo cominciato eravamo una piccola realtà e lo siamo ancora oggi. Probabilmente c'era un'esigenza seria. Un'altra cosa che Benedetto ci ha ricordato nei vari anniversari: il coraggio. Il coraggio della parola chiara. O come diceva De Lubac il coraggio di sacrificarsi per la Chiesa. A quanto pare è servito.

Si è sorpreso delle dimissioni del Papa?
Si, ma sapevo che era nelle sue corde. È la terza volta che un Papa ci prova. Prima Paolo VI, quando istituì la legge che stabiliva i 75 anni come limite di età per i vescovi pensò che anche il Papa dovesse attenersi a questa norma. Giovanni Paolo II pensava di dover condurre la Chiesa nel 2000 e dopo quell'anno pensò alle dimissioni. Benedetto XVI è l'unico ad averlo fatto. Un scelta che nasce dalla sua profonda visione teologica e dal concepire il Ministero di Pietro come un servizio. Siccome sa che, altro cardine del suo pensiero, è Gesù Cristo che guida la Chiesa, l'ha semplicemente ri-affidata nelle mani del Signore che possa scegliersi un nuovo successore. Lo trovo un discorso di una consequenzialità straordinaria.      

Può descrivere telegraficamente gli altri appartenenti a Communio che partecipano al Conclave?
Di Schönborn ricordo la semplicità umana, di Scola il senso dell'amicizia, di Oullet la grande accoglienza umana e di Erdő il grande senso del diritto. Koch invece non lo conosco abbastanza.


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