Mondo
Quella sera con Scola a San Vittore
L’arcivescovo aveva scelto di dire la prima messa di Natale per i carcerati. E parlando a loro aveva lanciato un ultimatum alla politica: l’emergenza carcere è una priorità che riguarda il futuro del paese
Lunedì 24 dicembre scorso, carcere di San Vittore. Nel Panottico dove convergono i sei raggi e dove da sempre c’è l’altare, deve arrivare l’arcivescovo di Milano per la messa di Natale. Il sito è in restauro perché (burocrazia permettendo) dovrebbe accogliere per qualche mese la Pietà Rondanini di Michelangelo. I posti sono quindi ridotti e gran parte dei detenuti sono assiepati dietro le sbarre che delimitano i raggi.
Era un momento delicato per la vita della grande casa circondariale, arrivata a livelli di sovraffollamento record, e con alle spalle un fatto di cronaca che aveva scosso tutti: l’arresto del cappellano don Alberto Barin.
Il cardinale parla a braccio, non fa concessioni pietistiche, ma esprime giudizio molto netti sia sull’idea di pena sia sull’abbandono di cui la politica è gravemente responsabile. «Il tempo che vivete qua dentro», aveva detto, «è duro, reso ancor più duro dal sovraffollamento e da una concezione punitiva anziché medicinale della pena». Per questo Scola con toni molto decisi aveva invitato tutte le forse politiche allora in campagna elettorale ad esplicitare «nei loro ptogrammi come intendono occuparsi delle carceri. Perché se l’Italia vuole uscire dalla situazione di crisi attuale, deve dare segnali chiari rispetto ai luoghi di sofferenza come le carceri, la condizione degli anziani, del lavoro, dei giovani». Concludendo con un richiamo «alle istituzioni della città, della regione, ma soprattutto del Paese, affinché si prendano cura di questa situazione». A questo punto un grande applauso ha percorso tutto il carcere, anche nei bracci dove i detenuti seguivano il discorso per mezzo degli altoparlanti.
Poi Scola era passato a interloquire direttamente con i detenuti «Nessun reato ci definisce in maniera compiuta, ha detto, «perché la nostra persona è più grande del reato commesso. In voi c’è la consapevolezza che il riscatto di cui tutti abbiamo bisogno non può arrivare solo da noi stessi», ma «da figli di Dio siamo messi in condizione di ricevere il dono di salvezza che ci fa il bimbo che nasce questa notte». Per poi concludere così il suo ragionamento: «Qualunque sia il tempo da passare in detenzione, dovete ripartire subito, da questo luogo e adesso, per mettere a frutto questo tempo. Mentre scontate una pena che dovrebbe essere una medicina di amore, condivisione, pur senza negare la verità di quanto compiuto».
L’immagine simbolo di quella serata di vigilia di Natale, è stato il coro del reparto La nave dove sono rinchiusi ex tosiccodipendenti. Un coro che cantando a squarciagola ha accompagnato tutta la messa, come a voler far sentire la popria voce di dolore ma anche di grande civiltà aldilà del muro di Piazza Filangeri, in tutta la città. Scola stessa alla fine è sembrato colpito dall’energia messa nel cantare e ha elogiato pubblicamente i componenti del coro, capaci di trasemettere oltre che il canto una grande passione umana.
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