Welfare

Riforma Fornero e non profit, i chiarimenti del ministero

Chiarimenti sull'utilizzo di cocopro in ong, onlus e organizzazioni sociosanitarie e assistenziali. Il progetto deve avere «autonomia ontologica» e deve essere il collaboratore a determinare «la quantità di prestazione socioassistenziale da eseguire»

di Sara De Carli

Che la riforma del lavoro firmata dal ministro Fornero avesse parecchi nodi critici, soprattutto in riferimento al mondo del non profit, non è una novità. Questo è stato, per dirne una, il tema del confronto in tv fra il premier Monti e Raffaella Pannuti, presidente di Ant. Ora i nodi vengono al pettine non solo del dibattito e della pratica, ma anche delle note istituzionali. La direzione generale per l’attività ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha pubblicato infatti la circolare n. 7/2013 in cui dà ai suoi ispettori chiarimenti sull’utilizzo del contratto di collaborazione continuata e continuativa a progetto per il lavoro svolto all’interno di ong, onlus e organizzazioni aventi finalità socio/assistenziali e sanitarie. Un tema su cui, dice la circolare, sono pervenute diverse «richieste di chiarimenti».

La premessa
Il Ministero ricorda che «il progetto gestito autonomamente dal collaboratore non può sinteticamente identificarsi con l’oggetto sociale, ma deve essere caratterizzato da una sua specificità, compiutezza, autonomia ontologica [sic] e predeterminatezza del risultato atteso e rappresentare una vera e propria “linea guida” contenente le modalità di esplicitazione dell’obbligazione del collaboratore».

Le precisazioni
Nell’ambito di ong, onlus e altre tipologie di organizzazioni socio assistenziali, i contratti di collaborazione coordinate e continuative a progetto sono possibili là dove esistano «specifici progetti che, pur contribuendo al raggiungimento dello scopo sociale, se ne distinguono per una puntuale declinazione di elementi specializzanti».
In sostanza, l’attività del collaboratore deve essere connotata da «elementi di specificità puntualmente declinati nel progetto» e dall’«assoluta determinatezza dell’oggetto dell’attività», con una «circoscritta individuazione dell’arco temporale dell’attività» e dei risultati espliciti, obiettivamente verificabili.  In più per la sussistenza di una «genuina co.co.pro,» devono esserci «apprezzabili margini di autonomia anche di tipo operativo da parte del collaboratore, obiettivamente riconoscibili nelle modalità di svolgimento della prestazione stessa ossia per lo svolgimento di compiti non meramente esecutivi».
La circolare fa un esempio esplicito: il cocopro che lavora in ambito socio assistenziale non può rispondere a direttive puntuali o specifiche indicazioni operative da parte del committente ma al contrario l’autonomia necessaria deve lasciare al cocopro la possibilità di concordare con il destinatario finale della prestazione gli aspetti operativi, l’orario di assistenza, le concrete modalità di erogazione del servizio. «In definitiva – chiude la circolare – la natura autonoma del contratto oggetto di accertamento può essere riconosciuta a condizione che il collaboratore determini unilateralmente e discrezionalmente, senza necessità di preventiva autorizzazione e successiva giustificazione, la quantità di prestazione socio/assistenziale da eseguire e la collocazione temporale della stessa».
 


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