Non profit

Ruanda, niente visto: 3 giovani su 5 tornano a casa

Mesi di attese e intoppi burocratici per potere rimanere nel paese in cui si sta svolgendo l'anno di servizio. Capita oggi in Ruanda, ma non solo. Margherita Vismara, rappresentante volontari per l'estero, raccoglie la testimonianza di Valentina, protagonista dell'odissea ruandese

di Margherita Vismara

Valentina Iacobucci è una dei due giovani in servizio civile, su cinque partiti per il Ruanda all'inizio del 2012, che è riuscita a rimanere nel paese fino alla fine del progetto, lo scorso 31 gennaio 2013. Per il Servizio civile nazionale all'estero, non è previsto alcun tipo di accordo coi paesi ospitanti che garantisca ai volontari l'ottenimento di un visto o di un permesso per svolgere il proprio Servizio Civile in loco. Partiti con un permesso di entrata di 30 giorni, quattro di loro hanno incontrato numerose difficoltà nel vedere riconosciuto il servizio che svolgevano nel paese, con la conseguenza di essere a più riprese invitati ad andarsene dalle autorità ruandesi. Casi analoghi si sono riscontrati negli ultimi anni in Brasile, Mozambico, Etiopia e India. Ecco la vicenda ruandese raccontata da chi l'ha malauguratamente vissuta in prima persona.

Perché in Ruanda ci sono problemi di visto?
Le difficoltà per ottenere il visto hanno riguardato quattro dei cinque volontari partiti per il Ruanda con l'ong Amici dei popoli. Per quanto mi riguarda, ho seguito un progetto agricolo dell’ong Amici dei Popoli, che prevede la pianificazione delle attività produttive e la sperimentazione di colture non alimentari. Siamo entrati nel paese ad inizio marzo con una facility entry con scadenza 30 giorni, come da prassi. Nel frattempo abbiamo presentato i documenti per richiedere il “visto di lavoro” con validità annuale, ed è così iniziato un periodo di lunga attesa. Il mio passaporto è rimasto presso l'ufficio immigrazione ruandese per ben tre mesi, creandomi non pochi disagi nel contesto di un paese in condizioni socio-politiche problematiche. A Maggio abbiamo inoltre ricevuto diverse visite da parte dei dipendenti del Ministero dell’immigrazione ruandese, a Kigali come a Musha, dove hanno rivolto molte domande ai nostri partner sull’ong e su di noi. Il giorno 25 Maggio 2012 l’ufficio immigrazione ci ha comunicato che i volontari Andrea e Yvonne avrebbero dovuto ritirare il passaporto e lasciare il paese entro un mese, mentre io sarei potuta rimanere nel paese soltanto se avessi ottenuto un permesso di Ricerca da parte del Ministero dell’Educazione. Attesa prevista per il permesso: tre mesi.

Hai dovuto aspettare altri tre mesi?
Nel frattempo si è presentata per me la possibilità di far domanda per il visto nell'ambasciata ruandese a Kampala, nel vicino Uganda. Dai primi contatti avuti con il personale dell'ufficio visti a Kampala sembrava non ci fossero problemi, ma una volta arrivata in Uganda le cose sono andate diversamente. L’ambasciata ruandese aveva infatti ricevuto istruzioni dall’ufficio immigrazione di Kigali di non farmi rientrare nel paese. Ho spiegato che avrei avuto quanto meno bisogno di recuperare i miei vestiti e sono quindi riuscita a farmi rilasciare un visto di una settimana per tornare in Ruanda e fare i bagagli. Dopodiché sono partita per l’Italia.

Dopo essere stati "invitati" a lasciare il paese la prima volta, cosa avete fatto?
Andrea, Alberto ed io siamo rientrati in Ruanda tra luglio e agosto con un visto turistico di 3 mesi rilasciato dall’Ambasciata ruandese di Parigi, mentre Yvonne ha deciso di dimettersi. La rappresentanza diplomatica italiana in Uganda nel frattempo ci aveva contattati per rassicurarci sul fatto che stava cercando di stipulare un accordo con il governo ruandese  per poter farci ottenere un visto da volontario: secondo l’immigrazione, infatti, questa è una condizione necessaria per ottenere tale tipologia di visto. All’avvicinarsi della scadenza dei nostri visti, però, la situazione è peggiorata: Alberto ed Andrea sono stati di nuovo invitati a lasciare il paese e multati per aver lavorato con un visto turistico. Io intanto, grazie ad una università ruandese, sono riuscita ad avere una lettera di affiliazione, che mi ha aiutata ad ottenere il permesso di ricerca consegnatomi il 26 novembre 2012, un giorno prima della scadenza del mio visto. Lo stesso giorno sono riuscita così a consegnare tutti i documenti necessari per ottenere il visto “di ricerca” e l'11 Dicembre mi è stato finalmente rilasciato il passaporto con il visto. Alberto ed Andrea sono invece stati costretti a rientrare in Italia e hanno dovuto abbandonare il progetto e il Servizio civile.

Problemi simili si erano già presentati in passato? Come hanno reagito l’Unsc, Ufficio nazionale per il Servizio civile nazionale e la vostra ong?
Anche l’anno scorso i giovani in servizio avevano avuto dei problemi col rilascio dei visti; tuttavia, dopo un mese circa i documenti erano stati loro consegnati senza ulteriori complicazioni. Devo dire che i nostri responsabili in loco si sono impegnati al massimo per risolvere il problema e permetterci di continuare il nostro servizio civile all’estero. Per quanto riguarda l'Unsc, so che il nostro caso è stato discusso in Consulta e che sono stati presi contatti con la Farnesina per stendere un accordo diplomatico con il governo ruandese.

Quali suggerimenti per il futuro?
Io sono stata fortunata a poter concludere l’anno di Servizio Civile, ciò non toglie che la problematica ha comportato molti disagi e ripercussioni sia sul progetto che sulla mia serenità personale. Senza contare, poi, che ai miei colleghi non è andata altrettanto bene. So bene che ci sono alcune problematiche che non possono essere previste con largo anticipo, tuttavia, le difficoltà nell'ottenimento dei visti si ripetono da diversi anni. È possibile che il Servizio civile, essendo un programma ministeriale, non preveda degli accordi con i paesi ospitanti? Sarebbe almeno opportuno in futuro contemplare la possibilità, in casi come questo, di spostarsi su altri progetti della stessa o di altre ong, anche in altri paesi, per poter terminare l’anno e non essere costretti a dimettersi o a concludere anticipatamente il contratto.

 

 

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