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Da Rebibbia alle dimissioni. Il lungo grido di libertà del Papa
Federico Abati, il detenuto che interrogò il Papa in visita a Rebibbia, racconta la sua scoperta di un pontefice «sconfitto ma vittorioso, perchè libero e umile»
Federico Abati è uno dei tanti detenuti del sistema carcerario italiano. Da giovane punk e anarchico è finito nelle spire della droga che lo hanno portato a commettere reati gravi. 5 anni e mezzo di detenzione l'ultima pena inflittagli. Oggi è agli arresti domiciliari e sarà libero il prossimo agosto. La particolarità della sua storia però è un'altra. È uno dei detenuti che nel dicembre del 2011 rivolsero domande al Papa in visita al carcere di Rebibbia. «Guarda che non sono cattolico», è il suo exploit al telefono. È stato forse il primo, anticipando intellettuali e commentatori, ad intuire e sottolineare l'estrema libertà ed umanità di Benedetto XVI
Perchè ci tieni a sottolineare che non sei cattolico?
Mi sento in imbarazzo. Uno come me che parla di Papa e Chiesa. È strano
Anche un non cattolico ha diritto di parlare di Papa e Chiesa. O no?
Certo ma per me la Chiesa è sempre stata solo un mondo di regole e imposizioni lontano e poco interessante
L'incontro col Papa ha cambiato questa tua idea?
In realtà no. Quello che è cambiata è la considerazione nei confronti del pontefice e l'attenzione rispetto a quello che dice e scrive. Pensavo che rifuggisse dai contatti fisici, spece di gente come me. E invece no. Da quando l'ho incontrato mi sono informato molto. Mi ha stupido Benedetto XVI
Che cosa ti ha colpito?
La Sua visita è arrivata che era dentro da 3 anni e mezzo. Mi fece un grande effetto vedere il Papa camminare in quei corridoi in cui normalmente c'è sofferenza rabbia e tristezza. Lui passava e l'aria cambiava. L'accoglienza dei ragazzi è stata entusiasmante. Per me è stato eccezionale che lui abbia deciso di fare la visita, di rispondere alle domande e che le domande non fossero minimamente gestite o ritoccate.
Perchè hai voluto sottolineare, tra le tante cose, la Sua libertà?
Quando rispose alla mia domanda mise in mostra una parte umana di sé che nessuno aveva previsto e che non era tenuto a far vedere, a dare. Non me l'aspettavo. Ha parlato della ferocia che subiamo noi e l'ha paragonata a quella che subisce lui. Solo un uomo molto libero, anche tenendo conto del suo ruolo, può avere i coraggio e l'audacia di fare qualcosa di simile.
Sembra che la tua analisi fosse perfetta alla luce degli ultimi avvenimenti…
Quella delle dimissioni è una decisione che lo fa più umano di qualsiasi altra cosa. Questa scelta me lo fa sentire ancora più vicino. È in fondo uno sconfitto come me. E ammette questa sconfitta. Più di così è impossibile ammettere la propria fragilità. È uno che ha combattuto con cose enormi della Chiesa e ha capito di non farcela. Un'ammissione di sconfitta che fatta così, in maniera così forte e libera, che diventa automaticamente una vittoria. Oggi tutti questi che chiaccherano in tv non si rendono ancora conto di quello
E per te? Quell'incontro ha cambiato qualcosa?
La mia rinascita è frutto di imprevisti, colpi fortuiti. Eventi che arrivano mentre pensi e fai altro. Benedetto XVI è certamente uno di questi.
In copertina Francesco Abati legge la sua domanda al Papa
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