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Elezioni in Israele, svolta teocratica?

Il favorito del voto di oggi è l'attuale premier Benjamin Netanyahu, che potrebbe però avere lo stesso numero di seggi dell'insieme dei partiti della destra religiosa. Ecco cosa sta succedendo nel paese mediorientale, che sembra 'rimuovere' il conflitto israelo-palestinese

di Daniele Biella

Comunque vada, sarà un responso storico quello che uscira questa notte dalle urne di Israele, per quelle che, ancora prima del verdetto, vengono considerate da molti "le elezioni della svolta nazional-religiosa": si è ancora alle stime, ma se il premier uscente Benjamin Netanyahu dovrebbe essere riconfermato e il suo partito, il Likud (in cui figura anche il falco Avigdor Lieberman), avrebbe a disposizione almeno 30 dei 120 seggi complessivi, altrettanti potrebbe raggiungerne un'altra area politica israeliana in rapida ascesa: quella delle formazioni politiche religiose, che sono almeno tre e stanno prendendo sempre più piede non solo nelle colonie, gli insediamenti in terra palestinese dove vive la maggior parte degli ebrei ortodossi, ma anche (e questa è la vera novità) tra la popolazione laica, la maggioranza. "Tra le strade di Gerusalemme ovest e Tel Aviv tutti oggi dibattono dello stesso tema: si sta andando verso il governo più teocratico degli ultimi decenni?", risponde a vita.it Cosimo Caridi, giornalista fra i pochi italiani presenti lo scorso novembre nella Striscia di Gaza durante i bombardamenti israeliani e con un passato da volontario internazionale (nel 2008 ha svolto il servizio civile tra Israele e Palestina per il progetto del corpo civile di pace 'Caschi bianchi'), che in queste ore sta facendo la spola tra le due maggiori città israeliane alla ricerca di parole e pensieri della gente comune.

Se la destra nel complesso dovrebbe quindi conquistare almeno il 50% dei segii, il resto verrebbe suddiviso tra il nuovo partito di centro (guidato dall'anchorman della tv Yair Lapid), i laburisti e le forze politiche di sinistra. "Comunque vada, è un giorno di festa oggi in Israele, sono aperte solo le scuole rabbiniche, per il resto la nazione attende con trepidazione i risultati, anche se tutti dicono, anche chi non lo vota, che continuerà a governare Netanyahu", continua Caridi, che nelle ultime ore è stato anche tra i coloni di Ariel, l'insediamento più grande della zona, ove si prevede un plebiscito per i partiti nazionalisti. I primi dati sull'affluenza sono da record: in tarda mattinata si è arrivati al 38%, quattro punti in più rispetto al 2009: "considerando che la maggior parte degli arabi israeliani, il 20% del totale della popolazione, diserterà le urne, si può pensare che la gran parte della popolazione ebrea sia andata alle urne", sottolinea Caridi.

E il conflitto-israelo palestinese? "E' passato quasi inosservato nella campagna elettorale, ne hanno parlato solo due partiti, Meretz, la sinistra sionista tra le cui fila si annoverano gli intellettuali come i noti scrittori Yehoshua o Grossman, e Hadash, l'unico partito misto di arabi (musulmani e cristiani, ndr) ed ebrei, che in tutto però non dovrebbero prendere più di 10-15 seggi". Qualcuno ha testato nuove strade come i cittadini israeliani promotori della campagna Real democracy (vedi la pagina facebook), che hanno 'prestato' il loro voto a un abitante palestinese della Cisgiordania, accogliendo la sua preferenza, e molti attivisti per i diritti umani si sono fatti sentire, ma l'impressione è che la massa elettorael, questa volta più che mai, abbia rimosso il tema: "non ne parla nessuno, piuttosto si ragiona sulle possibili guerre con gli altri vicini, come l'Irano o la Siria", indica Caridi, "se stimolati a farlo ti ripetono che l'unica soluzione è una politica forte, perchè dall'altra parte l'unico obiettivo e la cancellazione di Israele: una visione che non lascia spazio al dialogo, anche perchè non vede un interlocutore credibile nella politica palestinese, da tempo alle prese con il dualismo tra i partiti di Hamas e Al Fatah".

 


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