Formazione

La scuola, i tagli e la campagna elettorale

Il sottosegretario Marco Rossi Doria scrive oggi una lunga lettera a La Stampa per chiedere che la scuola sia messa al centro della campagna elettorale. Eccola

di Marco Rossi Doria

Il sottosegretario Marco Rossi Doria scrive oggi una lunga lettera a La Stampa per chiedere che la scuola sia messa al centro della campagna elettorale. Eccola

Caro Direttore,
in questi giorni sento una fortissima urgenza: che si parli di scuola, di com’è, di come deve diventare. E sogno una campagna elettorale che sappia farlo. In modo positivo e dunque riparativo e innovativo. E rispettoso, partendo da quel che già si fa.

[…]

Dopo un anno nel quale ho incontrato oltre cento scuole girando dal Nord al Sud e dove, certo, ho visto scuole in difficoltà che chiedevano aiuto, ho soprattutto avuto la conferma che esiste questo grande, prezioso esercito civile di gente capace di misurarsi con nuovi modi di apprendere. E anche capace di valutare il proprio operato sulla base dei risultati, come si fa in tutto il mondo. Così, mi sono ulteriormente convinto che chiunque governerà questo Paese deve poterne sostenere l’azione quotidiana, per davvero.
Ho anche fatto i conti con i grandi numeri, che sanno dire molto. Eccone alcuni, di segno anche diverso. Noi integriamo ogni giorno nelle nostre classi, in modo sereno e serio, 200 mila bambini e ragazzi con disabilità. Nessun altro Paese lo fa da così tanti anni. E oggi finalmente capita che altre grandi nazioni ci guardino con ammirazione, pensando di volerci imitare. Tanto siamo avanti che una delegazione del governo francese è venuta e mi ha chiesto: come fate a fare una cosa così importante, i primi tra i paesi OCSE, da 30 anni?
Accogliamo, poi, 750 mila bambini e ragazzi stranieri. Parlano italiano ormai come prima lingua, lavorano per raggiungere gli obiettivi curricolari in tutte le discipline insieme ai nostri figli; diventeranno – presto, si spera – i loro concittadini a tutti gli effetti. Un signore che ha un banco in un mercato di Roma, che si chiama Mustafà, mi ha detto: «il vero porto che mi ha accolto sono state le maestre dei miei tre figli nelle vostre belle scuole».

Ma è pur vero che la maggior parte dei 40 mila edifici nei quali vivono ogni mattina i nostri figli hanno cinquant’anni e passa. Molti hanno avuto buoni interventi, molti no; e pochi sono ecosostenibili. Un noto economista quando gli ho chiesto «senti, ma, anche al di là della urgenza civile, nell’ottica della ripresa economica, conviene investire in questa storia?» – mi ha mostrato perché la risposta non può che essere «sì».”
Tuttavia la nostra è pure la scuola degli abbandoni e delle dispersioni: “troppi bambini e ragazzi imparano troppo poco e il 18,3 percento di loro, quasi sempre figli di poveri, non raggiungono una qualifica professionale né un diploma di scuola superiore. Sono scandalosamente troppi. Dobbiamo migliorare presto gli apprendimenti di tutti e di ciascuno e battere la dispersione scolastica. Nel Sud abbiamo iniziato a costruire una rete di scuole che si dedicano a questo. Ma ci vorrà costanza e dobbiamo estendere l’impegno ovunque.

Vorrei ora dire la cosa più importante, in modo pacato. La scuola italiana è stata indebolita da un disinvestimento culturale e politico che si è tradotto in tagli per 8,4 miliardi di euro nel triennio 2008-2011. E’ una somma enorme, che ha intaccato da allora le risorse correnti.
Quando, tra qualche anno, si studierà questa cosa, ci si troverà dinanzi a una vera e propria cesura nella storia d’Italia. Infatti, né in tempi di penuria economica, come all’avvio dello Stato unitario, né durante le guerre, né nei periodi di crisi e di ricostruzione si erano tolti così tanti soldi al sistema d’istruzione.
E ci si domanderà perché è avvenuto
e soprattutto perché è avvenuto in assoluta controtendenza con il pensiero economico, sia di ispirazione socialdemocratica che liberale.
Ora è assolutamente vitale riprendere una seria politica di investimento. Ci vuole una stagione capace di produrre un’inversione di tendenza, un cambio di rotta. Bisogna, infatti, passare dalla logica della spesa a quella dell’investimento. E non c’è Paese al mondo che affronti questa crisi tagliando i fondi per il sapere.
Si tratta, insomma, di operare una sostanziale innovazione nel paradigma con il quale l’Italia guarda alla sua scuola e discutere del come reperire le risorse necessarie. Significa anche restituire a docenti e alunni la possibilità di guardare al domani della propria comunità con fiducia e speranza, non doversi trincerare nella difesa e nel mantenimento di quel che c’è e progettare il futuro attraverso nuove e più avanzate proposte. Ecco perché questa campagna elettorale deve parlare da subito di scuola.
 

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