Cultura

Il Papa ai vescovi: non dimenticate la “sobrietà cristiana”

Pubblicato il Motu proprio «De Caritate Ministranda” dopo due anni di lavoro di Benedetto XVI. “Stipendi e spese di gestione, pur rispondendo alle esigenze della giustizia e ai necessari profili professionali, siano debitamente proporzionate”

di Redazione

Trasparenza nell’uso dei fondi, ruolo rafforzato dei vescovi nell’organizzare le attività caritative, nel stimolarle e garantirne efficacia e operatività, sono richiesti dal Motu proprio del Papa «De Caritate ministranda», pubblicato ieri in Vaticano. Si tratta di un documento che completa un iter di circa due anni di lavoro e nasce da uno spunto della enciclica di Benedetto XVI, «Deus Caritas est».
 
Il testo ribadisce che «il servizio della carità è una dimensione costitutiva della Chiesa ed è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza». Per evitare che in materia di carità i fedeli vengano «indetti in errore o in malintesi», il motu proprio chiede ai vescovi di «impedire che attraverso le strutture parrocchiali o diocesane vengano pubblicizzate iniziative che, pur presentandosi con finalità di carità, proponessero scelte o metodi contrari all’insegnamento della Chiesa».
 
Ricordando il valore della «testimonianza di sobrietà cristiana» che la Chiesa deve dare anche nelle attività caritative, il Papa chiede al vescovo «a tale scopo» di vigilare «affinchè stipendi e spese di gestione, pur rispondendo alle esigenze della giustizia e ai necessari profili professionali, siano debitamente proporzionate ad analoghe spese della propria curia diocesana».

Nel documento papale c’è anche un punto che ricorda che il vescovo diocesano è «tenuto, se necessario, a rendere pubblico ai propri fedeli il fatto che l’attività di un organismo di carità non risponda più alle esigenze dell’insegnamento della Chiesa, proibendo l’uso del nome cattolico ed adottando i provvedimenti pertinenti ove si profilassero responsabilità personali».
 
Con il motu proprio pubblicato oggi riguardo alle responsabilità dei vescovi sulle attività caritative della Chiesa, Benedetto XVI ha colmato una lacuna del Codice di Diritto Canonico. Lo scrive sull’Osservatore Romano il cardinale Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, che vede incrementate le sue competenze sul settore.
 
“De caritate ministranda”, è stato emanato oggi da Benedetto XVI ed entrerà in vigore il prossimo 10 dicembre. “Il servizio della carità”, sottolinea Papa Benedetto nel “Proemio”, “è una dimensione costitutiva della missione della Chiesa ed è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza”.  “All’esercizio della 'diakonia' della carità – prosegue il Santo Padre – la Chiesa è chiamata anche a livello comunitario, dalle piccole comunità locali alle Chiese particolari, fino alla Chiesa universale”; per questo serve un’“organizzazione quale presupposto per un servizio comunitario ordinato”, che abbia pure “espressioni istituzionali”. Scopo del Motu Proprio è, dunque, “fornire un quadro normativo organico che serva meglio ad ordinare, nei loro tratti generali, le diverse forme ecclesiali organizzate del servizio della carità, che è strettamente collegata alla natura diaconale della Chiesa e del ministero episcopale”.

“L’attività caritativa della Chiesa”, mette in guardia il Pontefice, “deve evitare il rischio di dissolversi nella comune organizzazione assistenziale, divenendone una semplice variante”. “Pertanto, nell’attività caritativa, le tante organizzazioni cattoliche non devono limitarsi a una mera raccolta o distribuzione di fondi, ma devono sempre avere una speciale attenzione per la persona che è nel bisogno e svolgere, altresì, una preziosa funzione pedagogica nella comunità cristiana, favorendo l’educazione alla condivisione, al rispetto e all’amore secondo la logica del Vangelo di Cristo”.

Un compito al quale già rispondono differenti “iniziative organizzate”, in primo luogo la Caritas, “che si è giustamente guadagnata l’apprezzamento e la fiducia dei fedeli e di tante altre persone in tutto il mondo per la generosa e coerente testimonianza di fede, come pure per la concretezza nel venire incontro alle richieste dei bisognosi”. Accanto a questa, “nei vari luoghi sono sorte molteplici altre iniziative, scaturite dal libero impegno di fedeli”. Una pluralità di realtà verso le quali “la Chiesa in quanto istituzione non può dirsi estranea”. “I Pastori – auspica il Papa – le accolgano sempre come manifestazione della partecipazione di tutti alla missione della Chiesa, rispettando le caratteristiche e l’autonomia di governo che, secondo la loro natura, competono a ciascuna di esse quali manifestazione della libertà dei battezzati”.  

Tra le disposizioni, Benedetto XVI ricorda che le iniziative collettive di carità, “oltre a osservare la legislazione canonica”, “sono tenute a seguire nella propria attività i principi cattolici e non possono accettare impegni” che ne condizionino l’osservanza. L’appellativo “cattolico” può essere usato “solo con il consenso scritto dell’autorità competente”, ovvero “del vescovo diocesano”, al quale spetta il compito di “vigilare” affinché “siano sempre osservate le norme del diritto universale e particolare della Chiesa”, e “coordinare nella propria circoscrizione le diverse opere di servizio di carità”, curando che quanti vi operano “diano esempio di vita cristiana e testimonino una formazione del cuore che documenti una fede all’opera nella carità”.

Il Motu Proprio invita il vescovo a favorire “la creazione, in ogni parrocchia della sua circoscrizione, d’un servizio di ‘Caritas’ parrocchiale o analogo, che promuova anche un’azione pedagogica nell’ambito dell’intera comunità per educare allo spirito di condivisione e di autentica carità”.

Per evitare che “i fedeli possano essere indotti in errore o malintesi”, vescovo e parroci “dovranno impedire che attraverso le strutture parrocchiali o diocesane vengano pubblicizzate iniziative che, pur presentandosi con finalità di carità, proponessero scelte o metodi contrari all’insegnamento della Chiesa”, come pure “il vescovo diocesano deve evitare che gli organismi di carità che gli sono soggetti siano finanziati da enti o istituzioni che perseguono fini in contrasto con la dottrina della Chiesa”. Da ultimo, al Pontificio Consiglio “Cor Unum” il compito “di promuovere l’applicazione di questa normativa e di vigilare affinché sia applicata a tutti i livelli”.

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