Welfare

Azzardo: come ha avuto inizio e dove può arrivare

Dalle liberalizzazioni di Bersani al prossimo 3 dicembre la genesi di un fenomeno lungo sei anni

di Marco Dotti

In un anno i locali in cui è possibile giocare sono aumentati del 40,2%. Ma anche per loro le cose stanno per cambiare. Dal 3 dicembre, infatti, parte la rivoluzione 3.0 che porterà le slot machine direttamente on-line sugli schermi dei cellulari, il tutto nella completa legalità avvallata dallo Stato. A fronte di questo fenomeno che, a guardarlo da un lato, già si preannuncia come un business dalle dimensioni colossali e, a osservarlo dall'altro, un disastro psico-sociale senza precedenti, noi continuiamo a parlare di “gioco”. C'è gioco ovunque, a sentire gli esperti. La pubblicità è gioco, l'esperienza è gioco, persino la malattia è gioco. La chiamano “gamification”: trasformare in gioco ogni spazio-tempo della nostra esistenza.

Ma è davvero un gioco, quello che porta milioni di famiglia a confrontarsi con una miseria diffusa, a cedere alle pressioni dell'usura, a immiserirsi e, infine, a implodere senza turbare nemmeno troppo la quiete pubblica?  Si tratta davvero di un gioco, come vorrebbe farci credere chi con apparente ingenuità si serve ancora di questa parola, o piuttosto siamo al cospetto di una catastrofe sociale multiforme e ancora senza nome?

Di certo, chi guadagna su questo fenomeno sempre più dilagante è attento alle parole. Anche a noi viene chiesta attenzione: guai a parlare di “gioco d'azzardo”, perché quello d'azzardo è tutt'ora vietato dalla legge in base al Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza. Meglio parlare – ci dicono – di gioco regolato. Eppure il Codice Penale (articolo 718), con una chiarezza esemplare dispone: arresto da tre mesi ad un anno a chiunque svolga un gioco d'azzardo ovvero lo agevoli.  Ma ripeto, è invalsa l'opinione che tale normativa sia stata di fatto superata. Opinione ben avvallata, d'altronde, dalle liberalizzazioni che, dal famoso o famigerato decreto voluto dall'allora Ministro Bersani (DL n. 223/2006) n poi, con la scusa (testuale) di “contrastare la diffusione del gioco irregolare ed illegale, l'evasione e l'elusione fiscale nel settore del gioco, nonché di assicurare la tutela del giocatore” hanno esteso il fenomeno oltre ogni limite. Tra gli obiettivi che il Decreto si prefissava, va detto che quello andato a buon fine è certamente la riduzione dell'evasione e dell'elusione fiscale… a tutto vantaggio di una tassa sull miseria (così la chiamava Casanova!).

Lo Stato italiano, nel 2011, ha infatti incassato quasi tredici miliardi di euro, su un fatturato  del settore di oltre ottanta miliardi. Ma la “tutela del giocatore”? Possiamo dire sia stata raggiunta? O oggi, a distanza di 6 anni da quel decreto, dovremmo invece affermare che siamo andati oltre, davvero oltre e questa spirale perversa va arrestata. Prima che si arrivi a un punto di non ritorno…
Per questo occorre rilanciare con forza il Manifesto No Slot, rilanciarlo affinché si ricominci davvero da dove eravamo partiti: dalla dignità e dal lavoro. Non dalla loro più bieca mercificazione.

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