Cultura

Crisi mondiale e G8: la posizione della Cei

Il cardinal Ruini, presidente Cei, oggi ai vescovi italiani. Sulla crisi: "Ricorso alle armi sia limitato". Sul G8 apprezzata la riunione dei 60 movimenti cattolici e la posizione di Tettamanzi.

di Redazione

Conferenza Episcopale Italiana Consiglio Episcopale Permanente Pisa, 24-27 settembre 2001 1. Il conforto della preghiera e della comunione fraterna ci sono particolarmente necessari nella nuova situazione, creatasi nel mondo intero a seguito dell?attacco inaudito e totalmente inatteso a cui sono stati sottoposti, martedì 11 settembre, gli Stati Uniti d?America. Il primo sentimento che è nato nei nostri cuori, di fronte alle terribili immagini degli attentati, alle notizie sullo spaventoso numero delle vittime e alla percezione del dolore di tante famiglie e di un popolo intero, è quello della pietà cristiana. E la prima risposta è stata e rimane quella della preghiera. Anzitutto attraverso la pietà e la preghiera trovano espressione la solidarietà e la vicinanza profonda che sentiamo, più forti che mai, verso la nazione americana: per la comune appartenenza alla famiglia umana, in primo luogo; per il radicarsi in una medesima civiltà che ha le sue principali matrici nella fede cristiana; per il grandissimo debito di gratitudine che l?Italia, come l?intera Europa, ha contratto verso gli Stati Uniti lungo l?arco della storia del XX secolo. La solidarietà e l?amicizia vera si manifestano soprattutto nei giorni della sventura e della prova: ci conforta pertanto la rapidità e la concordia con cui il nostro popolo e i suoi rappresentanti si sono posti al fianco degli Stati Uniti, al di là delle differenze di orientamento politico e culturale. Non possiamo tacere, poi, l?indignata condanna verso coloro che, come ha detto il Santo Padre, si sono resi responsabili di un così ?terribile affronto alla dignità dell?uomo?: questa condanna riguarda gli autori e i mandanti delle stragi come anche coloro che li avessero scientemente appoggiati o coperti. E? stato da più parti motivatamente osservato che quanto è accaduto l?11 settembre cambia in profondità la situazione mondiale. Resta aperto però l?interrogativo cruciale sul senso e sulla direzione che assumerà un tale cambiamento. Ciò riguarda in termini più immediati la risposta da dare all?attacco subito dagli Stati Uniti: è fuori dubbio il diritto, anzi la necessità e il dovere, di combattere e neutralizzare, per quanto possibile, il terrorismo internazionale e coloro che, a qualunque livello, se ne facciano promotori o difensori. E? però altrettanto importante e indispensabile che questo diritto-dovere sia esercitato non solo attraverso il ricorso alla forza delle armi – da mantenersi sempre il più possibile limitato, senza rappresaglie indiscriminate -, ma anche e principalmente adoperandosi per rimuovere le motivazioni e i focolai che alimentano il terrorismo o possono dargli luogo. In tutto ciò sono grandi il ruolo e le responsabilità che possono essere assunte dalle nazioni, tra cui l?Italia, più vicine e solidali con gli Stati Uniti, e proprio per questo più qualificate a non lasciarli soli nel rispondere all?attuale gravissima sfida. Il principale nodo da sciogliere rimane, a questo proposito, quello della Terra Santa e del conflitto arabo-israeliano, che si trascina ormai da oltre cinquant?anni, pur con fasi più o meno acute: dovrebbe essere ormai chiaro a tutte le parti in causa che questo conflitto non può trovare soluzione se non attraverso un negoziato che tenga conto dei diritti e delle esigenze di ciascuno e cerchi di contemperarli nel modo il più possibile equo, come anche che il continuo ricorso ad atti di terrorismo o di guerra non fa altro che aggravare, per tutti, la situazione. Più ampiamente, nel combattere il terrorismo e le sue matrici bisogna guardarsi da semplificazioni e generalizzazioni che sarebbero gravide di conseguenze funeste, a un livello durevole e globale. In particolare la denuncia e il contrasto del fondamentalismo violento presente tra alcune popolazioni islamiche non può condurre ad ingiuste identificazioni o confusioni tra ideologia della violenza e della guerra e religione musulmana, e nemmeno all?abbandono del dialogo e della ricerca della reciproca comprensione, anzi di una sincera collaborazione: come ha detto il Papa all?Angelus di ieri ad Astana, ?la religione non deve mai essere usata come una ragione di conflitto?. Il fanatismo e l?odio hanno del resto radici per lo più diverse da quelle religiose e non dobbiamo ignorare che essi possono manifestarsi anche tra popolazioni cristiane, come oggi sta purtroppo avvenendo nell?Irlanda del Nord. Allo stesso modo, e su un versante solo apparentemente opposto, occorre smascherare e superare – anzitutto a livello etico e culturale – quello pseudo-moralismo, presente purtroppo anche nei nostri Paesi e perfino tra i cristiani, che tende a vedere negli Stati Uniti la causa e la sintesi dei mali del mondo, ravvisando in essi la massima espressione di una civiltà e di uno sviluppo che sarebbero intrinsecamente e irrimediabilmente mendaci e malvagi. Non è questa la via per comprendere la realtà nella quale viviamo e non è questo l?atteggiamento che può aiutare a costruire tra i popoli la conoscenza reciproca, l?accoglienza e la pace. Nei cambiamenti derivanti dalla tragica giornata dell?11 settembre, ciò che può toccare più in profondità la vita della nazione americana, ma anche di tutti i popoli dell?Occidente, è d?altronde una nuova definizione delle priorità della vita sociale, dei valori e dei comportamenti sia collettivi sia anche personali. Gli aspetti più banali e inautentici della nostra cultura e dei nostri stili di vita, di fronte alla gravità, alle dimensioni e alle implicazioni di ciò che è accaduto, sono stati per così dire messi a nudo nella loro inconsistenza e mancanza di significato, mentre hanno ricevuto un forte impulso a riemergere quei contenuti di solidarietà e di generosità, di coraggio, di senso di una comune appartenenza e di un comune destino, di serietà della morte e della vita, sui quali si può costruire non una impossibile ?sicurezza? terrena, ma una migliore capacità di affrontare le sfide della vita e di costruire il proprio futuro: ciò riguarda tutte le dimensioni dell?esistenza, da quelle economiche a quelle affettive a quelle religiose e spirituali, e, se coinvolge e mobilita in primo luogo il popolo americano, può essere l?occasione di un esame di coscienza e di una rinnovata assunzione di responsabilità anche nel nostro Paese. Se sarà così, la provvidenza misericordiosa di Dio avrà ricavato un bene anche da questo enorme male e questo nostro mondo, sempre più piccolo e interdipendente nonostante le sue atroci divisioni, potrà forse intravedere una prospettiva di pace poggiata su più solidi fondamenti morali.(?) 5. I terribili eventi dell?11 settembre negli Stati Uniti hanno cambiato di molto anche il quadro della situazione italiana. Dalle elezioni del 13 maggio è nato un nuovo Governo che gode di un?ampia maggioranza in entrambi i rami del Parlamento: una condizione questa che da gran tempo non si verificava, come hanno sottolineato non pochi osservatori. Essa sembra offrire prospettive di stabilità e di uscita dai lunghi anni della cosiddetta ?transizione?. Ma questa nuova situazione comporta anche più forti responsabilità in primo luogo per il Governo e per la maggioranza che lo sostiene, affinché la stabilità sia effettivamente conseguita e soprattutto affinché i problemi di maggior rilievo per la vita quotidiana della nostra gente e per il futuro del Paese vengano affrontati con lungimiranza e concretezza, avendo di mira non solo l?interesse dell?una o dell?altra parte politica o componente sociale, ma anzitutto il bene comune della nazione. Naturalmente anche l?opposizione è chiamata ad impegnarsi per gli stessi fini, pur nella diversità degli orientamenti e delle valutazioni ed esercitando quelle funzioni di proposta e di critica, di controllo e di stimolo, che in una democrazia sono essenziali. Nel periodo antecedente la data dell?11 settembre il clima politico era rimasto purtroppo assai conflittuale, anche sull?onda della lunga ed aspra campagna elettorale. L?enorme impatto di ciò che è poi accaduto e le difficoltà e i rischi che incombono, a molti livelli, e che vanno fronteggiati il meglio possibile, hanno già prodotto notevoli effetti di comune assunzione di responsabilità e di solidarietà sostanziale, che è dovere di tutti non lasciar cadere quando si tratterà di prendere decisioni impegnative. Anche in rapporto alle nostre questioni interne, un confronto più ravvicinato sui problemi reali potrà facilitare l?affermarsi di rapporti più costruttivi. Nel frattempo siamo giunti molto vicino alla scadenza del 7 ottobre, con il referendum confermativo della riforma costituzionale sul sistema delle autonomie, in particolare regionali. Proprio il tema delle riforme istituzionali si presenta come uno dei principali banchi di prova della nuova Legislatura, al fine di riformulare secondo un disegno organico i ruoli delle diverse istituzioni e i rapporti tra di esse, per adeguare alle esigenze attuali i molteplici aspetti e dimensioni del governo del Paese, senza perdere o compromettere quei fondamentali valori di umanesimo e di civiltà giuridica che sono racchiusi nella nostra attuale Carta costituzionale. 6. Una vicenda che ha a lungo contribuito a tenere alta la tensione tra le forze politiche e acceso il dibattito culturale, mentre col sopravvenire della tragedia dell?11 settembre è praticamente scomparsa dalla pubblica attenzione, sono le manifestazioni svoltesi a Genova in occasione del ?G8?, con i gravissimi atti di violenza compiuti da una parte dei manifestanti e i conseguenti scontri con le forze dell?ordine, nel corso dei quali un giovane ha purtroppo perduto la vita, mentre determinati comportamenti di alcuni tutori dell?ordine sono oggetto di indagine giudiziaria. La riunione del ?G8? ha suscitato l?attenzione e la partecipazione di numerose organizzazioni cattoliche, accompagnate da una vivace dialettica anche tra i cattolici stessi, fino a contestazioni francamente non giustificate e non accettabili del magistero dei Vescovi. Sono da ricordare soprattutto il forte appello alla solidarietà con i popoli più poveri contenuto nella lettera dei Vescovi liguri del 24 giugno e nelle parole del Santo Padre all?Angelus di domenica 8 luglio – mentre era in atto a Genova l?incontro delle organizzazioni cattoliche volutamente distinto da quello del ?Genoa Social Forum? – ed anche l?intervista del Cardinale Tettamanzi su ?Avvenire? del 15 luglio, che già denunciava chiaramente il rischio di inammissibili violenze. In questo quadro complesso, nel quale sono facili le confusioni e i malintesi, sembrano opportune alcune brevi considerazioni. La prima riguarda il grande tema della solidarietà verso i popoli più poveri della terra: di fronte alle condizioni in cui vivono e muoiono milioni di persone, essa è una fondamentale esigenza etica, a cui devono corrispondere scelte economiche e politiche coerenti. Questa è anche, nel lungo periodo, la via per assicurare il benessere e la pace di tutti. Ciò non significa in alcun modo attribuire alle nazioni più ricche tutte le responsabilità del sottosviluppo e misconoscere le molte cause di esso – sociali e culturali, politiche, o di altro genere – che sono invece interne agli stessi Paesi più in difficoltà: resta fondamentale perciò l?opera di coloro, in primo luogo i missionari, che dedicano la propria vita allo sviluppo di questi Paesi, anzitutto mediante quel grande veicolo di promozione anche umana che è la predicazione del Vangelo. Un?ulteriore riflessione è richiesta dai fenomeni di violenza contro persone e cose che hanno accompagnato, fin dalla riunione di Seattle, le manifestazioni anti-globalizzazione. Tali violenze sono e rimangono inammissibili e la loro valutazione sia morale sia giuridica e penale non può essere resa meno severa facendo appello agli scopi per cui verrebbero compiute. Né si può consentire all?equivoco che parifica alla violenza il ricorso all?uso della forza da parte dei responsabili dell?ordine pubblico, fermo restando che tale ricorso deve avvenire nel rispetto delle normative. Desidero esprimere qui piena fiducia, stima e gratitudine alle forze dell?ordine, per il loro arduo e spesso rischioso servizio al bene comune, che ora diventa ancora più difficile, e al contempo più necessario, di fronte alla minaccia del terrorismo internazionale. Il dibattito scaturito dal ?G8? si è allargato fino a provocare un confronto culturale sui rapporti tra Chiesa e Occidente. L?accusa alla Chiesa di stare scivolando verso posizioni anti-occidentali è stata già chiarita in buona misura nel corso del dibattito stesso: da una parte infatti non è possibile alcuna identificazione della Chiesa con l?Occidente, come con alcun?altra determinata forma di civiltà e di cultura, e oggi l?universalità della Chiesa va anche in concreto ben al di là dei confini dell?Occidente, mentre in quest?ultimo sono purtroppo diventate sempre più forti le spinte verso una radicale secolarizzazione. Non per questo però viene meno il rapporto storico tra cristianesimo e cultura occidentale, nel duplice senso del dare e del ricevere della Chiesa dallo sviluppo di una società e di una cultura (cfr Gaudium et spes, 40-44). Né si può ignorare che la modernità o post-modernità occidentale sta per certi aspetti diffondendosi a livello planetario, cosicché i problemi che la fede cristiana incontra nel suo attuale rapporto con l?Occidente potranno presto ritrovarsi – anzi in non piccola misura già si incontrano – nel rapporto con altre aree geografiche e culturali. Ciò che non sembra aver trovato attenzione adeguata in questo dibattito è però l?impegno positivo della Chiesa cattolica, e delle altre Chiese e comunità cristiane, per costruire oggi i rapporti con l?Occidente, senza limitarsi a vivere della pur grandissima eredità del passato. E? questo invece il senso profondo della ?nuova evangelizzazione?, che si rivolge anzitutto ai Paesi di antica cristianità sottoposti a forti correnti di secolarizzazione e anche di scristianizzazione (cfr Redemptoris missio, 33) e che negli ultimi decenni è al centro del nostro impegno pastorale. In realtà, soltanto sulla base di una fede cristiana viva e concretamente testimoniata in mezzo alle nostre popolazioni la cultura dell?Occidente, che rapidamente muta, potrà non allontanarsi definitivamente dalle sue matrici cristiane, e anzi costruire con il cristianesimo dei rapporti rinnovati. E così, a mio sommesso avviso, l?Occidente potrà anche ritrovare, in forme adeguate al nostro tempo, la propria autocoscienza più robusta e più capace di futuro. E? questa indubbiamente una grandissima sfida, che interpella in primo luogo noi come cristiani e come Chiesa e che passa attraverso un dialogo sereno con ogni significativo rappresentante di questo contesto culturale.(?) Camillo Card. Ruini Presidente


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