Politica

Melazzini e la sua sanità lombarda

L'intervista, pubblicata da Vita in agosto, al prossimo assessore alla sanità della regione

di Redazione

Il Presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni ha scritto all'alba di oggi su Twitter alcuni nomi della nuova giunta, confermando le anticipazioni delle ultime ore. «Ho formato la nuova Giunta lombarda, come promesso vi do alcune anticipazioni: assessore alla Sanità, professore Mario Melazzini», è stato il primo cinguettio presidenziale. Quel Mario Melazzini, presidente nazionale Aisla, cui Vita dedicò la propria copertina nell'agosto di quest'anno col titolo “La sfida di Mario”.
Ecco l'intervista che Franco Bombrezzi fece al medico.
 

La cover di Vita di agosto 2012 dedicata a Mario Melazzini


Mario Melazzini, 54 anni, oncologo, divenuto punto di riferimento delle istanze delle persone colpite da malattie neuromuscolari, da quando lui stesso è stato colpito dalla Sla, sclerosi laterale amiotrofica, è ora di fatto nella stanza dei bottoni, e riassume molte delle deleghe di programmazione e di gestione degli indirizzi, da quando gli è stato chiesto di prendere il posto di Alessandra Massei (la dirigente del Pirellone, indagata per l’inchiesta sulla Maugeri). Sotto i colpi delle indagini della magistratura, la sanità lombarda ha scricchiolato e l’immagine stessa, di efficienza e di qualità, è sembrata messa drasticamente in discussione, di fronte all’ipotesi che un fiume di denaro stanziato per strutture ospedaliere e di ricerca convenzionate con la Regione serva in realtà ad altro, ossia ad agevolare le procedure, a favorire cordate e singole persone.
Mentre le inchieste procedono, una decisione per certi versi clamorosa ha dunque modificato radicalmente la “cabina di regia” della sanità lombarda. Una svolta forte, per certi versi epocale. Ma cosa pensa realmente Mario Melazzini? Non è il classico dirigente regionale, tanto meno un burocrate. E neppure solo “una persona malata”. Glielo abbiamo chiesto, e lui non si tira indietro, né si fa scudo della sua sedia a rotelle. Anzi. Ci conosciamo ormai da molti anni e abbiamo più volte condiviso battaglie, sensazioni, persino emozioni rispetto al tema della disabilità conseguente a una malattia.

Il tuo nuovo incarico, così complesso, non pensi che assuma anche un carattere simbolico molto evidente?
Dipende in che prospettiva si voglia considerare questo carattere simbolico. La risposta è sì, concordo, se si intende che la responsabilità affidatami dalla Sanità lombarda dà un forte messaggio di uguaglianza: è la possibilità data ad una persona con disabilità di lavorare e portare il suo contributo in un ambito specifico e in generale alla società in forza delle sue competenze e della sua professionalità, nonché della sua esperienza acquisita come paziente, persona con disabilità, che mi permette di vedere, vivere, comprendere la cosiddetta “medaglia” da entrambi i lati, e quindi cercare di offrire e dare una risposta che sia la più appropriata e puntuale possibile. La risposta è invece no, non sarei d’accordo se la mia nomina fosse strumentale, cioè venissi usato come parafulmine: chi potrebbe criticare o fare insinuazioni su una persona con disabilità? Solleverebbe una certa indignazione nell’opinione pubblica. Se avessi avuto l’impressione di essere chiamato per questo, non avrei mai accettato, anche perché questa sì che sarebbe stata una vera e propria discriminazione, apparentemente buonista ma sostanzialmente meschina e svilente. Invece sono qui per essere giudicato, apprezzato o criticato per quello che riuscirò a fare assieme a chi lavora con me, con la trasparenza e la libertà più totali.

Prima di essere chiamato a una responsabilità molto forte al vertice della sanità lombarda, avevi attivato alcune iniziative di notevole rilievo. In particolare, assieme ad Alberto Fontana della Uildm, e a Telethon, il Centro Nemo, nell’ospedale pubblico di Niguarda, per la cura e la riabilitazione delle malattie neuromuscolari. Riuscirai a seguire questa creatura? Qual è stato il segreto vincente per la sua realizzazione? Può essere un esempio concreto di come tu intendi la partecipazione alla costruzione di modelli virtuosi di cura?
Seguirò sempre Nemo, con il cuore, con il pensiero e… fisicamente. Ovvio, non potrò più seguirlo operativamente, per due fondamentali motivi: da una parte ci sarebbe un conflitto di interesse tra il mio ruolo in Nemo e quello in Regione; d’altra parte, per come è la mia esperienza organizzativa, per poter garantire risposte concrete, decisioni utili e adeguate, sarebbe necessaria una presenza fisica in loco, e questo oggi non è possibile, perché il lavoro in Regione assorbe praticamente tutta la mia giornata. Però continuerò a ricoprire il ruolo di vicepresidente e a dare il mio supporto: i sabati e le domeniche sarò ancora lì, come volontario, a incontrare, parlare, a stare tra le persone ospitate da Nemo. Qual è stato il segreto vincente per realizzare Nemo? Penso l’aver incontrato Fontana e aver stretto una profonda sinergia con lui: Alberto ha portato la sua esperienza amministrativa, io la mia tecnico – sanitaria, entrambi quella di persone colpite da una malattia neuromuscolare: penso che questa molteplicità di competenze e di esperienze ci abbia permesso di creare un luogo che potesse rispondere in modo concreto, appropriato ed efficace ai bisogni quotidiani dei malati neuromuscolari. Se è un modello virtuoso? Sì, perché è partito dalla realtà, vede i reali bisogni, legge la situazione e la giudica in modo intelligente: questa è la base necessaria e indispensabile per un’azione efficace.

Un’altra iniziativa importante era il tavolo del Gat, il cosiddetto Gruppo di approfondimento tecnico per attuare in Lombardia il modello inclusivo della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. Mi pare che questo tavolo si sia un po’ arenato, da quando non hai il tempo di seguirne gli sviluppi operativi. Eppure si tratterebbe di uno strumento importante di programmazione competente degli interventi.
Penso sia solo un’impressione esterna. Se si intende con arenarsi l’interruzione o un pesante rallentamento di un percorso e di un progetto decennale rispondo di no, perché quotidianamente ci sono tecnici e funzionari e dirigenti di diverse Direzioni Generali che lavorano per attuare in modo sempre più capillare e strutturato quanto stabilito anche a livello di azioni, con la delibera del dicembre 2010 in merito alle politiche per le persone con disabilità. Se si vuol dire invece che si sta attraversando un periodo in cui non emergono episodi, risoluzioni mediaticamente altisonanti, è tutto un altro discorso.

Ma adesso sei comunque chiamato a dare un contributo fondamentale in una fase assai delicata della programmazione regionale nel campo della sanità. Il punto fondamentale mi pare sia questo: il modello di efficienza e di qualità della sanità in Lombardia può convivere con episodi anche clamorosi di corruzione e di uso a dir poco disinvolto del denaro pubblico? È un prezzo da pagare per l’efficienza? Oppure è possibile evitare – e come – che questo sistema sia fortemente condizionato da lobby di potere che non hanno nulla a che fare con la salute dei cittadini?
Prima di tutto posso dire con certezza che non c’è assolutamente un uso disinvolto del denaro pubblico: Regione Lombardia ha sempre allocato in modo appropriato e corretto le risorse sanitarie, tanto al pubblico quanto al privato. E posso ugualmente affermare che il Sistema non è condizionato da lobby di potere: se lo fosse, non avrei mai accettato questo incarico, non mi sarei mai compromesso con questa “macchina”. Vorrei sottolineare una cosa: il sistema sanitario è chiamato a cambiare, ma, almeno nella realtà lombarda, questo cambiamento non è conseguenza di una mala gestione, bensì imposto da un più ampio cambiamento che è di ordine economico e soprattutto della modifica del bisogno e della domanda di salute. Lo ha anche certificato la Corte dei Conti, che tracciando un bilancio del triennio 2009-2011 parla di “un’elevata capacità d’impegno relativamente alla spesa sanitaria”, grazie a cui “la Lombardia raggiunge un risultato positivo d’esercizio pari a 18,2 miliardi di euro, che incide positivamente sul risultato nazionale per 1,3% … Se le stime rilevate rappresentano un fattore positivo di attrazione del sistema sanitario lombardo, che dimostrano l’apprezzamento dell’utenza per la qualità e l’appropriatezza delle prestazioni sanitarie erogate, d’altro canto, costituiscono un consistente apporto sotto il profilo della sua sostenibilità”. La tanto citata e temuta spending review può diventare uno strumento per questo cambiamento: le risorse stanno diminuendo e mantenere una sanità virtuosa diventerà una missione quasi impossibile, e quindi per poter garantire una sanità efficiente bisognerà allocare in modo sempre più appropriato le risorse disponibili. Per questo dico che ogni euro, letteralmente ogni euro che esce da Regione Lombardia è controllato e appropriato, a fronte di verifiche e rendicontazioni precise e puntuali che non permettono di alterare il sistema. A questo proposito sarà sicuramente opportuno mettere a disposizione da una parte adeguati strumenti per poter lavorare, dall’altra adeguati strumenti per poter controllare come si lavori e come si gestiscano le risorse date: ci saranno paletti sempre più stretti e indicatori sempre più precisi.

Sottolinei sempre l’importanza di non essere ideologici, quando si parla di salute e di diritti dei cittadini. Ma in che modo pensi di operare perché il tuo pragmatismo, che nasce anche dalla tua consapevolezza personale, dopo la scoperta della malattia, si traduca in un ulteriore miglioramento della sanità e dell’assistenza?
Partendo dal riconoscimento del vero bisogno di salute dei cittadini: solo la ricognizione precisa e la conoscenza della situazione reale, ti permette di rispondere  in modo sempre più appropriato. Insisto sull’appropriatezza più che sul miglioramento: credo che la grande sfida sia proprio l’appropriatezza, essere perfettamente adeguati, pertinenti, “nel merito” dei bisogni e della situazione reale, senza dispersioni e zone di vuoto, senza azioni inutili che utilizzino delle risorse per rispondere a domande di salute che in realtà non ci sono. E la situazione attuale ci profila a un orizzonte tutt’altro che lontano: la sfida della presa in carico del paziente cronico e non autosufficiente.

Tenace e ottimista come sei, sono certo che terrai duro fino al limite estremo, anche della resistenza fisica. Ti sei posto questo problema? Come fai a conciliare la cura personale della tua malattia, che non è esattamente un raffreddore, con una responsabilità così impegnativa?
Mi pongo questo problema ogni giorno, è la malattia stessa che me lo ricorda. La fatica è grande, ma ugualmente grande è la motivazione: lavorare, dare il mio piccolo contributo mi fa sentire utile a me stesso e, penso e mi auguro, a tanti altri, e questo mi dà forza e determinazione.


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