Mondo

Onu dove sei? L’odio globale non fermerà i popoli

La storia ha insegnato che ogni guerra ha dato impulso a nuove migrazioni, anziché arrestare la mobilità. Quale ruolo per le Nazioni Unite? Tornare ad essere ciò per cui sono nate.

di Riccardo Bonacina

Sandro Calvani è il rappresentante delle Nazioni Unite per l?Asia e il Pacifico, area coinvolta dalla crisi aperta l?11 settembre. Vive e lavora a Bangkok, Thailandia. Il suo ufficio (Un/Odcc) coordina i programmi nel controllo della droga, la prevenzione del crimine e del terrorismo. Calvani ci ha concesso un?intervista a titolo personale sul cambiamento epocale che l?attacco terroristico agli Usa ha aperto. Le opinioni che qui esprime non rappresentano, ovviamente, quelle delle Nazioni Unite.

Vita: Dopo gli attentati di New York e Washington si va verso un mondo in cui le diverse tribù e schieramenti si chiuderanno un po? di più e non un po? di meno. Lei ha sempre sostenuto che il problema delle migrazioni doveva essere affrontato sul piano di un diritto globale alla mobilità come origine di doveri e di un quadro certo di legislazione. Quanto è successo metterà in crisi questa visione?
Sandro Calvani: L?11 settembre 2001 è stata anche la data di nascita della globalizzazione della paura, dell?odio e del terrore a dimensione planetaria. È la prima volta che migliaia di cittadini americani vengono uccisi insieme a un centinaio di thailandesi e di britannici, decine di italiani, di pakistani, cinesi, tedeschi ecc. Uno dei gruppi di terroristi più sospettati ha membri di decine di nazionalità. Nel World Trade Center lavoravano 40mila persone di oltre un centinaio di nazionalità. Nel riaprire gli uffici da un?altra parte, le imprese che erano ospitate nei palazzi distrutti, non si sognano nemmeno di ridurre il numero di non americani che impiegano nei loro uffici.
Vita: Cosa succederà, a livello di migrazioni?
Calvani: Per quanto riguarda il resto del mondo, le guerre dei secoli passati sono sempre state una forte spinta all?emigrazione. Tutte le migrazioni di massa di italiani all?estero sono state causate da crisi economiche prima o dopo gravi conflitti. La più colossale migrazione del secolo passato è stata quella causata dalla guerra del Vietnam. Le masse migranti che riceviamo oggi dai Balcani, dall?Asia Centrale, dall?Asia del Sud, soprattutto Tamil, dall?Afghanistan, è gente che scappa dalla miseria o dalla mancanza di speranza di un futuro migliore causata da conflitti. Pensare dunque a parole di guerra come prospettive di riduzione della mobilità reale è antistorico.
Vita: Perché questo processo è antico?
Calvani: Il processo di integrazione della razza umana è in atto da millenni. Non si è fermato davanti agli oceani quando non c?erano aerei, non s?è fermato davanti alla Muraglia cinese e al Muro di Berlino, non si fermerà adesso che molto del poco aiuto esistente allo sviluppo sarà destinato a più spese militari o di sicurezza. Ancora più fame, miseria e Aids, praticamente in ognuna delle famiglie più disperate al mondo, farà partire ancora più persone. Sono tanti, sono giovani, sono disperati e decisi, sono piccoli e dappertutto. Fermarli è impossibile, un po? come quando centinaia di migliaia di formiche entrano in un palazzo dove c?è il miele. L?unica cosa intelligente da fare, sarebbe quella di stabilire le regole della mobilità in modo più accettabile e credibile per tutti, compreso il mettere più miele più vicino ai formicai.
Vita: Come è vissuta dalle sue parti la crisi? Il nome dell?Indonesia ritorna spesso nell?elenco di Stati canaglia.
Calvani: La definizione di Stati canaglia è un po? vaga e molto variabile nella storia. Una volta il Papa benediva i crociati che avrebbero dovuto liberare il Santo Sepolcro. Oggi Bin Laden benedice chi vuol liberare la Mecca da un governo filo-americano. Per gran parte dell?opinione pubblica occidentale e del Nord del mondo sono Stati canaglia quelli che non promuovono i diritti umani più importanti: il diritto di libera opinione e parola, il no alla discriminazione per ragioni di razza o genere, il no alla tortura, la parità di tutti di fronte alla legge, il no alla schiavitù, il diritto di voto, ecc. Per l?Oriente e il Sud del mondo sono invece più importanti i diritti economici, sociali e culturali. Sono diritti collettivi , meno noti e certo meno rispettati in ogni parte del mondo: il diritto al lavoro, alla casa, alla salute, al cibo, all?educazione e, per alcuni, il diritto alla terra. Per difendere il secondo gruppo di diritti, è inevitabile dare fastidio a chi gode dei vantaggi della disuguaglianza. Per certi governi dei Paesi poveri sono quindi stati canaglia quelli che non pagano la loro parte del contributo all?Onu, quelli che non mettono un dollaro nella lotta alla criminalità organizzata, alla droga, all?Aids, quelli che non accettano una nave di rifugiati.
Vita: Cerchiamo dei criteri oggettivi?
Calvani: Le democrazie più fragili, immature o corrotte sono tra gli anelli deboli della sicurezza umana. Più insicurezza si crea nell?area della Mezzaluna d?Oro (Afghanistan e Stati vicini), più insicurezza si trasferisce a Sud-Est, il Triangolo d?Oro (Myanmar-Thailandia- Laos), le Filippine, l?Indonesia, dove i sistemi di legge ed ordine e di Stati di diritto sono più fragili. L?Indonesia, non dimentichiamolo, con 220 milioni di abitanti, è la nazione musulmana più popolata al mondo. E in più c?è la variabile delle triadi Cinesi e la Yakuza giapponese che si stanno espandendo enormemente con i proventi dei traffici di amfetamine, di persone, della prostituzione, di favori politici, del riciclaggio di denaro.
Vita: Si tratta di un trend inarrestabile?
Calvani: Si potrebbe fare molto per rafforzare la capacità di resistenza al disfacimento di alcuni Stati del Sud-est asiatico a governo debole ma i fondi a disposizione di alcuni governi europei e della Commissione Europea sono insufficienti. Se si continuerà a fare poco e nulla, avremo sempre più guerre senza Stati tra nemici senza soldati. I predatori globali se la faranno sempre più da padroni del mondo.
Vita: Il ruolo dell?Onu in tutto questo?
Calvani: Dovrebbe essere quello per il quale è stato creata. Cinquantasei anni fa, quando l?umanità cercava similmente di uscire dal terrore della Seconda Guerra venne scritta la Magna Charta dell?Onu. Inizia con le parole «Noi, i popoli del mondo?» (non solo «noi, i governi», né solo «noi, le democrazie»). In quella charta e nel cuore di molti dei sei miliardi di persone c?è un progetto di difesa e libertà dalla paura. Si chiama dialogo. Anche quello che serve a convincere tutti, vittime e assassini, che è meglio non uccidere e non lasciar uccidere. Anche quello che ridà voce ai popoli tramite la società civile organizzata. Kofi Annan, il segretario generale delle Nazioni Unite, ha commentato che nessuna giusta causa può ottenere risultati tramite il terrorismo. Nel suo discorso del terzo millennio Annan aveva anche proposto di rimettere la gente al centro di tutto quello che facciamo.
Vita: Le decisioni però spettano ai governi?
Calvani: È chiaro. Quindi al di là delle aspettative e opinioni degli uomini e delle donne che lavorano all?Onu, il ruolo dell?organizzazione sarà quello che vorranno la maggioranza dei Paesi membri. Circa la sicurezza e la risposta al terrorismo, sarà quello che decideranno i membri del Consiglio di sicurezza. Una Convenzione globale contro il terrorismo è allo studio da alcuni anni. Sarà approvata quando i paesi membri raggiungeranno un consenso. Speriamo presto.

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