Mondo

Cooperazione: non mancano le risorse, ma la volontà politica

"Tagli e leggi inadeguate sono due volti della stessa scarsa attenzione di chi governa. A Milano l'occasione per invertire la rotta". L'intervento del presidente di Terre des Hommes

di Raffaele K Salinari

Continua il dibattito online sul futuro della cooperazione internazionale lanciato da Vita.it in vista del Forum  dell'1-2 ottobre.

Quale cooperazione può e deve fare l’Italia al tempo della spending review e del patto di stabilità? Che senso ha oggi questa componente fondamentale della politica estera di ogni paese cosiddetto sviluppato e quali sono gli strumenti più idonei ai suoi obiettivi? E ancora, ha senso parlare di “sviluppo” e se si, quale modello di sviluppo dobbiamo sostenere?

Il nostro Paese vive da tempo una situazione di oscuramento delle politiche di cooperazione, non solo dovuto ai tagli indiscriminati che durante gli ultimi anni hanno falcidiato le risorse, relegando così l’Italia all’ultimo posto in termini assoluti e percentuali all’interno dei G8, ma anche all’incuria politica. A questa incuria, ed alle domande capitali di cui sopra, cercherà di dare una risposta la presenza delle ONG internazionali che stanno contribuendo ai contenuti del Forum sulla cooperazione internazionale indetto dal Ministro Riccardi. Le Ong sono mosse da una indubbia volontà di far tornare al centro della discussione politica il tema di una presenza internazionale dell’Italia non solo fatta di tagli, di sacrifici, di dibattiti sullo spread, ma anche di coerenze col suo ruolo di nazione importante nell’ambito dell’Europa e del mondo.

Esiste infatti una soglia minima di credibilità internazionale che passa anche dal rispetto degli accordi sottoscritti per combattere la povertà, per includere tutti all’interno di un modello di sviluppo che rispetti i Diritti Umani. E per fare questo ci vogliono risorse adeguate e strumenti di legge appropriati: entrambe le cose oggi mancano drammaticamente all’Italia. Risorse adeguate e leggi che mancano dunque sono due volti di una stessa mancanza di volontà politica e non di una scarsità di risorse come viene sempre detto dai più svariati livelli partitici.

Sappiamo da tempo che gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio non verranno raggiunti. Le motivazioni sono, ovviamente, legate agli scenari aperti dall'ultima crisi dell'economia finanziarizzata, dal deficit globale che grava sulle spalle dei Governi dei G8, e soprattutto dalla loro manifesta incapacità di tenere sotto controllo la speculazione internazionale, oramai parte integrante del modello di sviluppo post caduta del Muro di Berlino. Sono motivazioni inaccettabili, dato che questa crisi è esplosa all'interno di un sistema che, per almeno un ventennio, ha deliberatamente lasciato che i titolo cosiddetti tossici ammorbassero e soffocassero l'economia reale sino a creare un vero e proprio blob che rischia, come nel celebre film di fantascienza degli anni maccartisti, di ingoiare tutti, senza distinzione. In realtà queste dichiarazioni di impotenza e soprattutto cecità politica, vengono da lontano, segnatamente proprio dalla fine della Guerra fredda che ha determinato un progressivo decadimento delle politiche pubbliche di Cooperazione internazionale, legate originariamente al mutuo contrasto  tra i due blocchi nei confronti del "Terzo Mondo".

La realtà della cooperazione allo sviluppo è dunque in profonda trasformazione da almeno un trentennio. La fine della guerra fredda prima e l’inizio della fase legata alla “guerra al terrorismo” poi, hanno condizionato lo scenario internazionale e innescato una mutazione dei rapporti tra il Nord ricco e Sud impoverito. Il ruolo delle Nazioni Unite e dell’Europa si è costantemente indebolito mentre, da Sud, assistiamo all’emergenza di attori sociali, politici ed economici, sempre più convinti della necessità che “i problemi del Sud si risolvano al Sud” e che le componenti sensibili delle società civili e politiche del Nord, incluse le Ong di cooperazione ed aiuto umanitario, debbano sempre più attrezzarsi per evidenziare e trasformare a casa propria le cause che lo stile di vita del Nord implica nelle dinamiche del sottosviluppo. Anche la consapevolezza dei rischi ambientali, e l’accresciuto ruolo delle donne nel definire un modello di sviluppo più equo e sostenibile, hanno introdotto variabili fondative di una nuova idea delle relazioni internazionali. Tutto questo si era cercato, nel lontano novembre del duemila, di “condensarlo” all’interno dei Millenium Development Goals, per richiedere ad ogni nazione “sviluppata“ e ricca di fare la sua parte per costruire con i tanti “Sud” del mondo, un avvenire condiviso da tutti gli abitanti dell’unica terra che abbiamo. Come abbiamo invece constatato, è mancata la lungimiranza per considera il Bene Comune Mondo, come qualcosa da curare tutti insieme, anche e soprattutto mettendo i più deboli in condizioni di fare la loro parte "liberandoli" dal peso opprimente della povertà e della diseguaglianze. D’altra parte, e non poteva essere che così, sono invece vertiginosamente aumentate le spese per armamenti, senza distinzioni evidenti se non nella qualità.

La diminuzione degli stanziamenti per gli MDGs sono dunque, "compensati" da quelli per le armi, che sono a loro modo una risposta al problema delle gestione del pianeta, certamente in senso escludente, consumogeno, gerarchici e di ulteriore concentrazione delle ricchezze nelle mani di quelli che vedono il pianeta come un branco di cavallette vede un campo di grano. In questo orizzonte politico l’Itala è decisamente una avanguardia, avendo a disposizione della sua politica estera di cooperazione, bilaterale o multilaterale che sia, una legge vecchia di venticinque anni e dotata di un budget che pone il nostro paese al posto più basso tra i G8. Nel Sud del mondo, pauperizzato da un assoluto disequilibrio nella distribuzione delle risorse ed, al contempo, diventato preda della politica-guerra di dominio per le materie prime che contiene, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo assume così le forme massime concepibili ed anche quelle che suscitano istintivo orrore: il traffico di esseri umani, lo sfruttamento della prostituzione infantile, il lavoro forzato ed infine il genocidio per fame di intere popolazioni. L’economia criminale, quella non solo legata alla criminalità organizzata ma anche a quella in abito scuro e polsini, quella delle banche, è dunque parte integrante della politica-guerra, la completa e ne diviene l’arma a più alto rendimento tattico, permettendo di appropriarsi di beni e di persone, di tessere attorno al futuro di tanti esseri umani una tela inestricabile di privazioni. Il No! Alla guerra è quindi un no prima di tutto etico che muove dalla consapevolezza che la Guerra è la negazione del futuro, il massimo dell’istantaneo, della rapace volontà di alcuni, pochi, di avere tutto e subito a scapito della possibilità che altri possano vivere in equilibrio con il pianeta in altri tempi ed altri luoghi. La guerra è quindi la negazione della solidarietà di genere, il patto che assicura alle future generazioni di ereditare un futuro che sia migliore del passato, e di quella biosferica, che sancisce l’equilibrio tra il genere umano ed il pianeta che lo ospita.

Le armi di distruzione di massa sono oggi sempre più legate alla possibilità di danneggiare l’ecosistema, di inquinare le acque, di spandere materie radioattive, di pompare senza ritegno materie prime non rinnovabili, di brevettare il vivente per renderlo indisponibile come patrimonio collettivo. L’idea stessa di cooperazione allo sviluppo, con i suoi tempi lunghi e la necessità di programmare, investire nel capitale umano, viene quindi azzerata dalla politica-guerra che è diventata, non a caso, anche  la scusa per annullare progressivamente tutti gli accordi multilaterali nel campo della cooperazione internazionale, deviando risorse verso una guerra preventiva che invece di prevenire i problemi ne crea altri di gran lunga peggiori. Nessuna struttura democratica degna di questo nome può giustificarla, sostenerla o farne la sua politica “di aiuto” principale. In realtà è proprio la democrazia ad essere il primo nemico delle guerra.

A questo punto la strada obbligata, per chi ancora crede nella possibilità di recuperare la cooperazione come strumento di ridistribuzione delle opportunità su scala planetaria è quella di ristabilire, tra soggetti realmente omogenei sulle discriminanti politiche, il campo delle alleanze chiamando nuovi attori al confronto ed alla collaborazione sul terreno di una progettualità politica e fattuale che esprima un ritorno agli impegni internazionali anche di cooperazione, come forma di un nuovo Contratto Sociale Globale, sostenuta da politiche pubbliche che pure dovranno essere rivendicate come parte integrante delle più generali politiche di sostegno ai diritti dei cittadinanza, e con una valenza cogente che finalmente metta il Diritto Umanitario alla stessa altezza, se non ad un gradino superiore , a quello societario. La priorità è quindi quella di rilanciare il dibattito sui contenuti di un nuovo Piano di Investimenti sociali globali, imperniata sulla difesa dei Diritti Umani rilanciando su questa necessità tra le priorità politiche della governance globale.
*Presidente Terre des Hommes
 

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