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Antonino Drago: nessun rimpianto per questo Comitato

Lo storico della nonviolenza Antonino Drago, primo presidente del Comitato Dcnan, con un pezzo a sua firma interviene sul caso aperto da Claudio Di Blasi sul suo blog, a cui aveva ribattuto il direttore del Centro per la pace di Pisa Pierluigi Consorti

di Antonino Drago

Avendo letto gli interventi di Claudio Di Blasi e Pierluigi Consorti (consultabili in alto a destra, ndr) sul tema della chiusura del Comitato Dcnan, Difesa civile non armata e nonviolenta, vorrei fare una valutazione politica sul passato, in relazione al servizio civile in generale.

 

È curioso che il plurinominato presidente del Comitato Dcnan, Consorti, oggi scriva: “Ogni volta che ci troveremo ad affrontare un conflitto con i soli strumenti dell’emergenza, saremo presi dal senso di colpa per non averci pensato per tempo. In prospettiva possiamo fare a meno del Comitato, ma non di una coerente ed efficiente cultura nonviolenta della gestione dei conflitti. Di questa assenza già sentiamo la mancanza”.
 
D’altronde Consorti aveva già definito il suo pensiero e quindi la sua politica verso il Comitato: secondo lui la legge istitutiva del Servizio civile volontario (64/01), che come prima finalità pone il “contribuire alla difesa della Patria… con mezzi ed attività non militari” (art. 1 lett. a), non ha invece nulla a che fare con la difesa collettiva alternativa e tanto meno con la nonviolenza (cf. P. Consorti (ed.): La difesa della Patria senza armi, Plus, Pisa, 2003, 41-72, pp. 53-57); tanto da suscitare le rimostranze pubbliche del prof. Venditti, il “padre giuridico” degli obiettori di coscienza ( “Servizio civile volontario e difesa civile non armata e nonviolenta” in M. Pignatti Morano: Il Peacekeeping non armato, LEF, Firenze, 2005, pp. 17-24).
E’ vero che dopo di allora egli ha scritto un libro sulla difesa non armata (P. Consorti e F. dal Canto: La difesa della Patria. Con e senza armi, Franco Angeli, 2010), ma quest’anno, come presidente del Centro Interdisciplinare per la Pace (Cisp) dell’Università di Pisa, ha collaborato sia personalmente che ufficialmente con la manifestazione pisana denominata “bambini in caserma”, avendo già scritto sui giornali che lui crede e vuole perseguire il “dialogo” con i militari. Forse egli spera che i militari diventeranno gli alfieri di quella “cultura nonviolenta dei conflitti”, la cui mancanza egli teme che sentirà in futuro e ne avrà sensi di colpa?
Se poi spostiamo l’attenzione ai componenti del Comitato, notiamo che i due Ministri succedutisi li hanno sempre nominato con trattative private. Cosicché: 1) l’Ente più benemerito della passata stagione del servizio civile degli obiettori, la Caritas, è stata praticamente esclusa; 2) sotto l’etichetta di “esperti della Dcnan” sono entrati tanti giovani di alcuni Enti di SC da essere la maggioranza dei rappresentanti civili; 3) negli anni, i rappresentanti dell’obiezione e della nonviolenza sono stati nominati in minor numero; 4) una sola volta è entrata una donna (che non ha più voluto essere rinominata).
 
Se poi ci chiediamo i risultati del Comitato, vediamo che quello più atteso era un bando speciale per le attività di difesa alternativa all’estero; sin dall’insediamento (nel 2005) la nuova Presidenza l’ha annunciato sulla stampa come imminente; ma è stato realizzato con gran fatica dopo sei anni, per soli sei giovani, per operare sui micro-conflitti (vendette familiari) in una zona non di guerra, l'Albania.
Guardando ancor più in generale, vediamo il legame del Comitato con il Servizio civile. La funzione pubblica statale (difesa alternativa ed altre) del Servizio civile nei fatti è stata cambiata o come supporto improprio alle attività pubbliche (biblioteche, ospedali, università, comuni, ecc.), togliendo così posti di lavoro a padri di famiglia; o è stata privatizzata da pochi Enti di SC per la loro crescita nel terzo settore, magari operando là dove invece sarebbe obbligatorio l’intervento statale. Ben altra cosa sarebbe che gli Enti operassero secondo il principio di sussidiarietà. Sulla base del bilancio politico esposto sopra, si può ben affermare che di questo (tipo) di Comitato non c’è da avere rimpianti: esso si è rivelato un “vicolo cieco”.
 
L’Italia è il primo Paese del mondo che, dal 1998, ha guadagnato una legislazione in proposito. Si sarebbe dovuto passare subito ad attuarla. Anche perché i finanziamenti non mancarono: cumulativamente, sono stati quasi un milione di euro; ma sono rimasti inutilizzati quasi del tutto.
 
Ma anche a basso costo, c’era e tuttora c’è una iniziativa che avrebbe un grande significato politico mondiale: dare una parte (anche piccola) dei finanziamenti e del servizio civile all’Onu; ciò attuerebbe per la prima volta l’art. 42 della Carta dell’Onu, che vuole formare un suo esercito per la pace a spese di quelli nazionali; e da noi applicherebbe l’articolo 11 della nostra Costituzione (“L’Italia ripudia la guerra…”). Inoltre senza costi, è il riconoscere i giovani in servizio civile che vogliono dichiararsi obiettori alla guerra, iscrivendoli nell’apposito albo dei vecchi obiettori. Altrimenti come si obietta oggi alla guerra?
 
Allora rimettiamo in opera la funzione pubblica del servizio civile per iniziare la difesa alternativa, cominciando dal reclutamento di obiettori; e poi realizzandola al meglio assieme all’Onu. Questo tipo di servizio valorizzerebbe anche gli Enti come portatori di valori, invece che di sola solidarietà a corto raggio.
 

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