Welfare

Al lavoro in carcere solo 18 centesimi

Al Meeting di Rimini Nicola Boscoletto parla della tragica situazione delle carceri italiane, «al punto più basso della loro storia». Non gli si dica che "mancano i soldi", perché lui snocciola tutti i dati...

di Sara De Carli

Domani il Meeting di Rimini si aprirà ad almeno un centinaio di detenuti. Molti di più saranno i direttori di carceri, gli operatori, gli agenti, i volontari e i magistrati seduti tra le file della sala A3, per partecipare all’incontro “Vigilando redimere. Quale idea di pena nel XXI secolo”, che sarà aperto da Nicola Boscoletto, presidente di quel Consorzio Rebus che ha reso famoso il carcere di Padova come premiata pasticceria (nella foto alcuni pasticceri della cooperativa Giotto).

I numeri della tragedia
Il titolo sembra un po’ accademico, «ma è una voluta provocazione», dice Boscoletto. «Siamo nel XXI secolo, il mondo avanza nella dignità e nel rispetto della persona umana, e invece il sistema penitenziario italiano sta toccando uno dei punti più bassi della sua storia». Boscoletto cita due dati, per tutti: «Negli ultimi dieci anni siamo arrivati a contare 2.130 suicidi, tra detenuti ed agenti. Gli agenti suicidi sono arrivati a 100», ricorda. L’altro dato? «Per il lavoro all’interno del carcere oggi l’Italia spende 18 centesimo al giorno per detenuto. Una miseria». Per questo, continua, «su 67mila detenuti ad avere un lavoro vero sono oggi in Italia appena 900 detenuti». Insomma, Boscoletto trova un solo aggettivo per esprimere la situazione attuale delle carceri italiane: «tragica». Benché proprio da Rimini, un anno fa, il Presidente Napolitano avesse lanciato un appello per «condizioni di detenzione più umane».

Il crimine più grande
Ciò su cui Boscoletto insiste è la condizione di illegalità generalizzata delle nostre carceri e la violazione diffusa dei più elementari diritti umani. Ma fa anche due conti: «un detenuto costa 250 euro al giorno, vuol dire che una persona che sta in carcere per dieci anni ci costa un milione di euro. Però, al di là dei dati ufficiali che parlano di una recidiva del 70%, abbiamo una recidiva reale del 90%. Il 90% dei detenuti esce dal carcere peggiore di come ci è entrato e compie crimini più gravi. Se questo è il risultato, vuol dire che il crimine peggiore lo abbiamo commesso noi». La strada efficace per abbattere la recidiva, è provato, è il lavoro. Tra chi lavora la recidiva scende al 10%, «in Italia arriva anche all’1%, il problema è che – come le ho detto prima – questo riguarda un numero bassissimo di persone».

Quei braccialetti elettronici d’oro
Sul rilancio del lavoro in carcere in realtà mai come ora c’è stato un clima politico favorevole, con il ministro Severino che non perde occasione per parlarne e il nuovo capo dell’amministrazione penitenziaria, Tamburino, che ne è un instancabile sostenitore. Eppure il testo per la riforma della legge Smuraglia è fermo da mesi. «Una situazione inquietante», la definisce Boscoletto. «La copertura economica è una scusa grande come il mondo», precisa Boscoletto. «Innanzitutto perché 1 milione di euro investiti nel lavoro in carcere consente di risparmiarne 9. Ma anche perché non si vogliono trovare 2 milioni di euro per rifinanziare la vecchia Smuraglia o 10 per finanziare la nuova, mentre il Governo ha trovato 63 milioni di euro per finanziare l’affidamento diretto per altri 7 anni per i braccialetti elettronici, nonostante il fatto che in dieci anni siano già stati spesi 110 milioni di euro e i braccialetti non siano mai stati usati. Io questo lo ricorderò. Il problema allora è che non c’è l’interesse a rientrare nella legalità, a rispettare il detenuto».

Dall’amore non si può fuggire
Alla polemica però Boscoletto e il Meeting preferiscono gli esempi positivi: dei «fari», come li chiama lui. Come la storia delle Apac brasiliane, di cui si parlerà domani, che proprio nel 2012 festeggiano i loro primi 40 anni di vita. Sono «piccole strutture di 150-200 detenuti gestite da associazioni in convenzione con lo Stato e seguite da un magistrato. Ne esistono 24 nel Minas Gerais, con 2mila detenuti complessivi. Ci sono i detenuti, gli operatori, e nemmeno un agente. Le chiavi del carcere sono affidate ai detenuti stessi. Qui la recidiva scende dal 90% della media paese al 7-8%». Evasioni? «L’ho chiesto anche io. Mi hanno raccontato la storia di un detenuto con una condanna di 50 anni. Nei primi 24 anni aveva girato molte carceri ed era evaso 12 volte. Da quando lo misero in una Apac non scappò più, pur avendo in mano le chiavi del portone. Ci rimase 9 anni, prima di morire. Il magistrato gli chiese perché: “perché dall’amore non si può fuggire”, rispose lui».
 


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA