Welfare

“Ho pagato una tangente” : un sito per combattere la corruzione

Il successo di I paid a bribe, il sito in cui chiunque può denunciare episodi di corruzione. Nato in India nel 2010, ha già registrato oltre 1 milione di visite e il modello conquista anche l’Africa.

di Ottavia Spaggiari

Letteralmente ho pagato una tangente. Non potrebbe essere più chiara la mission di I paid a bribe, il sito web che intende denunciare gli episodi di corruzione in India. Creato nel 2010 da Swati Ramanathan insieme al marito Ramesh e Sridar Iyengar, I paid a bribe ha accolto fino ad oggi 1 milione di visitatori, raccogliendo oltre 22 mila segnalazioni in 484 città. La maggior parte delle testimonianze lasciate sul sito raccolgono storie molto simili, in cui rappresentanti delle istituzioni e pubblici ufficiali, chiedono la cosiddetta “bustarella” in cambio di servizi che dovrebbero svolgere gratuitamente.

Moltissimi i casi in cui i cittadini sono costretti a pagare privatamente i poliziotti per lo svolgimento di pratiche burocratiche, come il rilascio del passaporto.  Un esempio per tutti l’episodio risalente al primo maggio scorso, dove un anonimo segnalatore stava per uscire dall’ufficio passaporti di Bangalore, sorpreso per non essere ancora stato costretto a passare nessuna busta agli agenti incaricati della sua pratica quando, proprio sulla porta, con un gesto inequivocabile, un poliziotto gli ha ricordato che si stava dimenticando di pagare per il servizio. Costo dell’operazione, 1000 rupie. E’ invece arrivata a costare 9500 rupie, circa 170 dollari, la tangente pagata alla dogana di Chennai  da un altro cittadino indiano e membro della community di I paid the Bribe, per poter trasportare alcuni mobili durante un trasloco.

Secondo le stime del progetto si calcola che negli ultimi quattro anni l’economia del paese abbia perso circa 8,5 trilioni di rupie, un’equivalente di 94 miliardi di dollari, a causa della corruzione, dell’evasione fiscale e della debolezza governativa. Non solo storie negative però. I paid the bribe raccoglie anche testimonianze di senso civico e servizi esemplari, in cui i cittadini si sono rifiutati di pagare le tangenti richieste, oppure gli uffici pubblici si sono distinti per correttezza e trasparenza.  L’unico problema: l’impossibilità di verificare la realtà delle storie raccontate dal sito. Tutte le testimonianze raccolte sono rigorosamente anonime, così da garantire la sicurezza dei segnalatori e da evitare possibili cause per diffamazione. Gli unici dati obbligatori sono la città, la data, l’ufficio o il dipartimento in cui si è dovuta pagare la tangente. Le testimonianze raccolte sono comunque ritenute estremamente attendibili da numerosi soggetti, tra cui Ben Elers direttore di Transparency International, l’organizzazione non governativa che promuove la trasparenza e la legalità a livello globale.

Il modello lanciato da I I paid the Bribe risulta infatti avere così tanto successo, da essere stato riproposto in altri paesi. Negli ultimi mesi in Africa  è stato attivato lo stesso sistema di denuncia anonima online in Zimbabwe, Nigeria e Kenya, mentre la scorsa estate in Cina sono nati velocemente diversi siti con uno scopo molto simile, poi però prontamente censurati dalle autorità locali. Il potere di denuncia della corruzione da parte della popolazione non fa sempre solo paura. Proprio in India, a Bangalore, Bhaskar Rao, responsabile dei trasporti nello stato di Karnataka, ha utilizzato i dati raccolti da I paid the bribe per riformare il suo dipartimento, diffidando una ventina dei funzionari più anziani, sospettati di corruzione e offrendo dei corsi di educazione alla legalità agli altri impiegati. Per risolvere il problema alla radice, il dipartimento dei trasporti ha poi digitalizzato tutte le richieste di rilascio della patente. Secondo Rao questi cambiamenti non sarebbero stati possibili senza I paid a bribe. “Il sito mi ha fatto capire quanto la gente fosse arrabbiata per gli atti di corruzione di cui era continuamente testimone e  mi ha aiutato a convincere i miei superiori che dovevamo fare qualcosa per risolvere il problema.”  

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