Mondo

Un inferno chiamato Mogadiscio

Centinaia di migliaia di persone nei campi profughi in condizioni drammatiche, bambini a rischio malnutrizione, un costante clima di violenza, strade impraticabili. La testimonianza di un operatore del Cesvi da una città dove l'emergenza non finisce mai

di Stefano Piziali

*Security Advisor Cesvi

Un rapporto Unicef rivela che 2,5 milioni di somali, circa un terzo della popolazione, ha bisogno di aiuti urgenti. La Somalia resta infatti il paese del Corno d'Africa con le peggiori condizioni di vita: un bambino su 5 è in pericolo di vita a causa della malnutrizione. I conflitti, l'instabilità politica, le piogge scarse e l’impossibilità per gli aiuti di raggiungere, per ragioni di sicurezza, alcune zone del paese, sono fattori che rischiano di provocare nei prossimi mesi migliaia di vittime, soprattutto tra i bambini.
Cesvi lavora da circa anno a Mogadiscio, dove almeno 200.000 persone vivono in decine di piccoli e grandi campi profughi. Si tratta di coloro che dopo il ritiro dalla città di Al Shabab (gruppi militanti che si ispirano ad Al Qaeda)  vi si sono riversate dal Centro e dal Sud della Somalia per sfuggire alla siccità, alla fame, alle malattie ed alla guerra, che ancora interessano gran parte del Paese.
Mogadiscio è ora una striscia di terra di ca. 30×20 chilometri controllata dalle truppe della Unione Africana e del Governo federale di transizione somalo, dove la vita sta lentamente riprendendo. A breve, in agosto, le prime elezioni tracceranno forse un percorso politico più chiaro.
La città è in gran parte ancora distrutta (soprattutto gli edifici pubblici). La sicurezza resta un problema ed è assai rischioso muoversi senza una scorta armata, infatti elementi di Al Shabab sono ancora presenti in città, dove quasi ogni giorno bombe improvvisate o granate scoppiano per rendere difficile la ricostruzione al Governo di transizione. Le ronde dei soldati del governo somalo non sono peraltro rassicuranti, in quando sono spesso causa di soprusi e violenze.


 La presenza di Cesvi, altre ONG e organizzazioni internazionali, è indispensabile per assicurare cibo, acqua e assistenza a quanti non hanno nulla che non sia un tetto fatto di stracci e teli di plastica. Cesvi opera nella protezione dei bambini: creando con il sostegno di UNICEF luoghi a loro dedicati nei campi di sfollati, Child Friendly Spaces, nei quali i bambini possono giocare, stare insieme imparare a leggere e scrivere.  Inoltre gestisce un Centro di salute, a breve saranno due, nel quale si riversano sia gli abitanti della città sia gli sfollati. Quattro cliniche mobili assicurano ai campi di sfollati visite regolari di personale medico somalo.


In questi giorni è iniziato anche un progetto in collaborazione con UN HABITAT per la raccolta dei rifiuti solidi urbani: sparsi ovunque nella città tra macerie e strade impraticabili. Una occasione per dare lavoro e diminuire i rischi di malattie legate alla scarsa igiene e ambientale.


Garantire la sicurezza e la protezione dei propri operatori, assicurando nel frattempo progetti efficaci e verificabili è la sfida che Cesvi si appresta ad affrontare nelle prossime settimane. Dopo il mese di Ramadan, appena iniziato, durante il quale Al Shabab ha minacciato azioni terroristiche clamorose, sarà possibile verificare se questa sfida potrà essere vinta. Ma già oggi l’impegno egli operatori Cesvi è massimo per assicurare una assistenza ai più deboli: donne e bambini. Il piccolo appena arrivato accompagnato da papà al Centro di Salute Cesvi in cerca di aiuto per curare la lebbra ha davanti una lunga cura per poter guarire, ma tutta Mogadiscio necessiterà di assistenza ancora per molto tempo per uscire da decenni di guerra e miseria.
 


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