Non profit

Fundraising, ecco come non farlo

Appelli sempre uguali, parole trite e ritrite, concetti obsoleti, registri sbagliati... una fundraiser e blogger americana mette in fila gli errori da evitare per campagne di successo

di Gabriella Meroni

"Basta, non ne posso più. Ci sono parole che continuo a trovare negli appelli delle associazioni che raccolgono fondi: sono noiose, già sentite mille volte, come possono funzionare? Le non profit non devono per forza far venire il latte alle ginocchia. Adesso vi spiego io come si fa": a parlare è Gail Perry, fundraiser americana, docente e blogger. Tra il serio e il faceto, ecco i suoi consigli per campagne di successo.

Scendere dalla cattedra: questo il primo consiglio. Per Gail "non state mia scrivendo una lettera formale a un estraneo. Vi state rivolgendo a un amico. A qualcuno che crede veramente nella vostra causa". La maestra direbbe: dillo con le tue parole. I termini da evitare? Quelli del politicamente corretto (in italiano un esempio potrebbe essere "diversamente abile"), inventati per non offendere nessuno, ma che secondo Gail non comunicano nessuna emozione, oltre a non rendere esattamente l'idea.

Da evitare anche la "Lingua dei servizi sociali", termini tecnici che vanno bene tra colleghi operatori, non in una lettera ai sostenitori. "Cosa vuol dire 'deprivato'? E 'svantaggiato'? Povero? Solo? Malato? Ditemi una parola che capisco, e che mi muova. Soprattutto ad aprire il portafoglio", conclude Gail.

C'è poi una doppietta di termini da cancellare dagli appelli ai potenziali donatori: programma e servizio. In sé, sono parole che si usano tutti i giorni, certo. ma per Gail sono abusate e troppo generiche. Senza impatto, insomma. "Sono parole per pigri, che non si vogliono impegnare ad arricchire il loro linguaggio. Sono scorciatoie per non descrivere nei dettagli quello che fate". Gail fa degli esempi: "Sostenete il nostro programma di alfabetizzazione carceraria" andrebbe sostituito da "insegnate a leggere ai detenuti analfabeti", che oltre a spiegare bene di che cosa si tratta sposta l'attenzione dall'associazione (il nostro programma) al sostenitore (insegnate).

Insomma: seplicità, personalizzazione, linguaggio semplice e diretto, appello alle emozioni prima che al dono. Basterà l'ennesima ricetta cotta e mangiata? Se non funziona, potete sempre dirlo a Gail


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