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Paraguay, Frei Betto e l’amico Lugo ai ferri corti

Il teologo della liberazione rivolge dure parole all'ex vescovo che dal 2008 a pochi giorni fa è stato presidente del paese sudamericano. «Ha deluso il popolo: era la speranza dei movimenti sociali, ma non ha mantenuto le promesse»

di Daniele Biella

“Fernando Lugo ha deluso la massa popolare che l’aveva fatto diventare presidente del Paraguay”. È un attacco senza mezzi termini quello che Frei Betto, uno dei maggiori promotori viventi della Teologia della liberazione (il movimento progressista nato in seno alla Chiesa cattolica dell’America latina), rivolge all’ex vescovo paraguaiano, di recente sfiduciato dal proprio Parlamento, e quindi costretto a rassegnare le dimissioni, dopo una serie di scelte infelici, culminate nella decisione di non perseguire un gruppo di militari protagonisti di brutali violenze verso dei civili.

Perché Betto si scaglia così contro Lugo, suo amico personale (“L’ho accompagnato alle urne, quando ha vinto nel 2008”)? “C’era speranza allora, per riscattare la democrazia dopo 35 ani di dittatura del generale Stroessner, c’era la volontà di ridurre le disuguaglianze sociali”, spiega il teologo brasiliano, “poi però Lugo e il suo governo non fecero quanto promesso: niente riforma agraria in un paese dove il l’80% dlla terra è in mano al 20% della popolazione, e sempre più distanza dai movimenti sociali che erano la sua base d’appoggio”. Ma soprattutto, “ha approvato la legge antiterrorismo e militarizzato il nord del paese, addirittura squalificando l’opera di leadership sociale dei contadini e criminalizzando i movimenti”, accusa Betto, come riporta l’agenzia Alai.

Il 22 giugno 2012 l’ex vescovo-presidente è stato destituito, “con un golpe costituzionale, certo, appoggiato anche dagli Stati uniti, come avvenuto in Honduras poco tempo fa con la caduta di Manuel Zelaya. Ma Lugo, a differenza di quest’ultimo, non ha neanche convocato i movimenti sociale per organizzare una resistenza, nonostante contasse sull’appoggio degli altri governi dell’area sudamericana”, ragiona Betto. Da qui il suo sconcerto per l’azione dell’amico, “debole con i forti, e senza fiducia nelle organizzazioni popolari”.

E ora? “Attenzione, governi progressisti dell’America latina”, ammonisce il teologo della liberazione, autore di ben 52 libri (qui il suo sito ufficiale, in portoghese), “elezione non significa rivoluzione: oltre che le persone, sono le dinamiche del potere che devono cambiare, attraverso un vero riconoscimento dei movimenti sociali come soggetto politico”. Non c’è alternativa, secondo Betto: “la primavera democratica in atto nel continente può trasformarsi di qui a poco in un lungo inverno se i governi in carica non si convincono che fuori dal popolo organizzato non c’è salvezza”.


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