Welfare

Alle Vallette anche percorsi in uscita

Nel carcere Le Vallette di Torino, dal 1992 esiste il Programma Arcobaleno, un piano di recupero dei detenuti tossicodipendenti

di Riccardo Bonacina

“Il problema non è uscire, ma saper stare fuori!” così Pietro Buffa, direttore dal giugno 2000 del supercarcere Le Vallette di Torino, sintetizza le intenzioni che animano il lavoro del “Programma Arcobaleno”. Dal 1992 questo piano di recupero dei detenuti tossicodipendenti all’interno della struttura carceraria coinvolge addetti della polizia penitenziaria, psicologi e operatori con esperienze maturate nell’ambito della criminologia, membri delle locali comunità terapeutiche e volontari provenienti dalla società civile. “Programma Arcobaleno” identifica nella cultura del carcere per tutte le persone che ci vivono, o perché ci lavorano o perché costrette, il tabù da abbattere. «Su 5mila persone ospiti in un anno alle Vallette, il 30% è tossicodipendente», segnala Buffa. «Il detenuto tossicodipendente è portato a chiudersi in se stesso e questa devianza culturale è l’anticamera dell’omertà». Nei primi anni Novanta il carcere era come un albergo a ore per i tossicodipendenti inseriti stabilmente in qualche giro delinquenziale. L’andirivieni del tossicodipendente abituale era diventato un’emergenza da combattere: come aiutare davvero questi detenuti a uscire volontariamente, mettendo sovente a repentaglio rapporti umani consolidati nel tempo con la malavita organizzata, dalla spirale della droga, in carcere e fuori? «Partirei da un caso realmente accaduto, fra i 750 che hanno avuto successo in questi nove anni di Arcobaleno», spiega Pietro Buffa, e mostra una foto. Vittorio ha 35 anni, si è appena sposato e da due mesi è diventato responsabile commerciale di una nota azienda alimentare di Alba. «Arrivò qui nel ’96», racconta il direttore, «prostrato dalle vicissitudini comuni a molti tossicodipendenti, fra genitori disperati, giro di amicizie sbagliate, abuso di stupefacenti, visite abituali al Sert per le dosi di metadone, e ora…». Il detenuto che aderisce ad Arcobaleno si sottopone ad un programma organizzato in tre livelli: il primo prevede la partecipazione a incontri di gruppo con altri detenuti nelle stesse condizioni, psicologi, operatori sanitari e membri della polizia penitenziaria. «Attualmente sono in dieci a fornire il proprio contributo in questa fase delicata di inquadramento del tossicodipendente», afferma orgoglioso il direttore, «e si segnalano per le spiccate doti di umanità». Il Testo Unico della Legge 309/90 traccia per le amministrazioni penitenziarie vie indispensabili a formare i percorsi del secondo livello: esiste il regime di custodia attenuata (Torino è la più grande in Italia) all’interno del penitenziario, mentre strutture esterne permettono di espiare in altro modo la pena. Il programma Arcobaleno si articola in moduli graduali con trattamenti progressivi fino al terzo livello, la casa di rientro gestita dall’Associazione Arcobaleno, presieduta da don Paolo Fini, dove l’ormai ex tossicodipendente viene aiutato a riprendere contatto con la società civile e a trovare un tetto ed un posto di lavoro stabile. «Inventarmi un carcere diverso, che educhi davvero il detenuto al ravvedimento sincero: questa la mia missione», conclude Pietro Buffa. E grazie al percorso comune con associazioni come Arcobaleno già 750 detenuti tossicodipendenti lo hanno provato. Renato Tubère Carissimi amici, questa settimana abbiamo dato spazio a questa corrispondenza del nostro Renato Tubère, collaboratore piemontese che racconta di un tentativo di recupero e di reinserimento di una delle fasce più grandi della popolazione carceraria: quella dei detenuti tossicodipendenti. Parliamone.


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