Cultura

Il 45% dei romani fa volontariato

La fotografia scattata oggi dal Censis

di Redazione

Quasi 470mila romani si dedicano al volontariato. E il 45% dei romani è iscritto o partecipa alle iniziative di varie associazioni (sportive, ambientaliste, culturali, ecc.) presenti in modo capillare sul territorio. Il dato emerge dal rapporto «Il valore del sociale a Roma» (in allegato), curato dal Censis e presentato questa mattina agli Stati Generali del Sociale e della Famiglia di Roma Capitale. Per Giuseppe De Rita queste reti informali, dal volontariato all’associazionismo, sono «il collante della città».

 

LA TENUTA DEI QUARTIERI – Dei 470mila romani che fanno volontariato, 213mila lo fanno in modo regolare e 253 mila saltuariamente. Si tratta di più di 61mila giovani con età fino a 29 anni, 125mila adulti con età tra 30 e 44 anni, 170mila tra 45 e 64 anni, 110mila anziani. La comunità romana, dice poi il rapporto, è tenuta insieme da famiglie e reti informali e in tutti i quartieri, anche periferici, «esiste una fitta rete di relazioni sul territorio». Il vicinato è considerato dal 30% dei romani una forma di comunità dove ci si conosce, frequenta ed eventualmente aiuta. Il quartiere è per molti uno spazio di relazioni importante, visto che il 36% dei romani dichiara di partecipare ad attività ed eventi che si realizzano nei territori, il 32% svolge gran parte delle relazioni sociali in piazza o al bar, il 25% è direttamente coinvolto nella soluzione dei problemi del quartiere.

 

NIENTE BANLIEUE A ROMA –  Il 55% dei residenti in periferia definisce medio il livello socio-economico della propria famiglia, un dato analogo a quello rilevato nei quartieri semiperiferici e del centro. E il disagio a Roma non è concentrato come nelle banlieue parigine. Nei rioni del centro ci sono più famiglie con persone non autosufficienti (l’8% contro il 7% della periferia), mentre nei quartieri periferici sono più alti i livelli di disagio nel rapporto con il lavoro (il 6% di famiglie con giovani che non studiano e non lavorano e il 6% con disoccupati di lungo corso). Nella periferia prevale l’eterogeneità sociale.

 

I DISAGI SOCIALI A ROMA – Come in tutte le grandi città, a Roma è presente una pluralità di forme di disagio sulle quali occorre intervenire. Ci sono 107mila non autosufficienti e 80mila disabili, 74mila giovani che non studiano e non lavorano, 131mila persone che vorrebbero andare a vivere per conto proprio ma non ci riescono a causa dei costi elevati delle case, 63mila disoccupati di lungo periodo, 29mila persone con almeno cinquant’anni alla ricerca di un lavoro, 106mila famiglie a basso reddito, nelle quali si contano 62mila persone che lavorano (working poor). Si stimano in circa 40mila le famiglie in cui si sommano almeno tre forme di disagio. E crescono le vulnerabilità potenziali. C’è stato un vero boom del numero di persone che vivono sole: 303mila in più negli ultimi dieci anni (erano 292mila nel 2001, sono diventate 596mila nel 2010, con un ritmo di crescita media annua del 7,4%).  Dai disagi nasce una domanda imponente di welfare che Roma deve affrontare, con il rischio che i tagli imposti dal governo colpiscano in città fino al 40% degli attuali beneficiari di servizi, interventi, prestazioni di assistenza.

 

UNA CITTÀ ACCOGLIENTE –  A Roma più di un maggiorenne su tre (850mila persone) non è nato nella capitale. I maggiorenni romani di seconda generazione, con entrambi i genitori nati a Roma, sono 626mila. Gli altri hanno almeno un genitore nato altrove o non sono nati a Roma. Date le dinamiche demografiche e l’evoluzione dei bisogni sociali, spiega il Censis, non ci sarà budget pubblico in grado di finanziare una copertura adeguata nel prossimo futuro se non riparte la creazione di occupazione: servono 53mila posti di lavoro di qui al 2020 per mantenere l’attuale livello di occupazione e 203mila per raggiungere il tasso di benchmark europeo. Decisiva sarà la capacità di attivare la voglia di autoimprenditorialità che si stima possa coinvolgere complessivamente 400mila romani. Infatti, 161mila cittadini si dichiarano intenzionati ad aprire una piccola impresa, 135mila un’attività commerciale, 103mila un’attività artigianale, 99mila una cooperativa sociale insieme ad altre persone.

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