Formazione

Merito, quattro docenti scrivono una proposta di legge

Garante degli studenti, soldi dagli affitti dei fuori sede, lezione pubblica obbligatoria per selezionare gli aspiranti ordinari. Dal basso una proposta a Profumo

di Sara De Carli

La cosa di certo è inusuale. Quattro docenti universitari si sono seduti attorno a un tavolo e hanno scritto una proposta di legge (in allegato) dal titolo ambizioso: “Per la valorizzazione della responsabilità educativa e sociale, della capacità e del merito nell’università e nella ricerca”. Due giorni fa l’hanno spedita al ministro Profumo, accompagnata da una lettera. Lì dentro ci sono cose rivoluzionarie, anche se loro le definiscono «di semplice buon senso» e dicono che in realtà molto era già presente nei documenti che si sono ricorsi nei giorni scorsi, «a partire dalla bozza dello stesso ministro Profumo».

Un esempio? Destinare al Fondo per il Merito (che qui tra l’altro prende la nuova dicitura di Fondo per il Merito e il diritto allo studio) una quota del gettito fiscale proveniente dai contratti di affitto per gli studenti fuori sede. Ma anche riservare il 10% dei posti a concorso per l’insegnamento nelle scuole primarie e secondarie ai ricercatori a tempo determinato all’università, per non “lasciare a piedi”, dopo anni di precariato, chi ha intrapreso la strada della ricerca universitaria.  

A firmare questo progetto di legge sono Stefano Semplici, ordinario di Etica sociale all’Università di Roma «Tor Vergata», Giampaolo Azzoni, ordinario alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Pavia, Paolo Leonardi, che insegna filosofia del linguaggio all’Università di Bologna e Emanuele Rossi, ordinario di Diritto costituzionale presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Quattro professori che oltre all’Università vivono dal di dentro anche l’esperienza dei collegi universitari. La proposta è aperta all’adesione («e alle critiche», precisano i promotori) di docenti e studenti universitari. Con il professor Semplici iniziamo a capirne i contenuti. 

 

Come è nata questa proposta di legge?

Ci ha impressionato il tono di “guerra” che si è immediatamente aperto quando poche settimane fa il ministro Profumo ha richiamato l’attenzione sul merito e sulla responsabilità educativa e sociale nella scuola e nell’università. Questo lo voglio sottolineare, perché deve essere chiaro che la riflessione da aprire è una riflessione più ampia che non quella sul merito come misurazione di una performance. In realtà analizzando i documenti usciti in quei giorni abbiamo visto che c’era una possibilità di condivisione.

 

Sì, ma una proposta di legge?

Capisco che può sembrare insolito, ma volevamo dare un contributo per rasserenare gli animi, dimostrare che con pacatezza, se c’è la volontà, si possono trasformare immediatamente delle idee in una proposta di legge. Anzi, per i temi più urgenti, come quello del concorso per i docenti universitari, direi addirittura in un disegno di legge. È velleitario? Può darsi, ma vale la pena provarci.

 

Qual è il vostro punto di partenza sul merito?

C’è stato un dibattito inutilmente aspro. Noi siamo convinti che contrapporre equità e merito sia dannoso e controproducente sia per l’equità sia per il merito. Serve un’attenzione più forte per il diritto allo studio: se la qualità non è diffusa, si inaridisce tutto il terreno sul quale fiorirà anche il merito di chi ha le capacità per andare più lontano. Se la possibilità di percorsi di eccellenza non viene tenuta dentro l’università di tutti, quella diventerà un bene accessibile solo a chi può pagarlo, mentre tutti hanno il diritto di trovare un terreno fertile che faccia fiorire il loro talento. Culturalmente vuol dire che dobbiamo smettere di considerare il talento e il merito come qualcosa che hai solo per te o per scappare all’estero: il talento è una risorsa per tutti e farlo fiorire è interesse di tutto il Paese.

 

Il primo punto quindi è estendere un’offerta formativa di qualità per tutti…

Sì, solo che per garantire i diritto allo studio ci vogliono risorse. Noi quindi abbiamo provato a proporre soluzioni nuove, come destinare al fondo per il merito e il diritto allo studio una parte di ciò che lo stato ricava dal gettito fiscale proveniente dai contratti di locazione per gli studenti fuori sede. Se tutti i contratti uscissero allo scoperto sarebbero davvero decine di milioni di euro. Una cifra certa c’è già, quella di ciò che è portato in deduzione…

 

Avete previsto anche un garante degli studenti. Perché?

L’urgenza prima dell’Università sa qual è? Garantire i professori. Per questo abbiamo inserito un pacchetto di articoli sulla centralità dell’impegno didattico dei docenti, scrivendo nero su bianco che le ore di lezione vanno «tenute personalmente». Sa cosa mi ha scritto una collega? Sarai contento, adesso ci obbligate per legge ad andare in aula. Ormai da anni invece tutti gli indicatori di sistema si concentrano sulla valutazione dell’impact factor, sui libri e sulle pubblicazioni, ma con pochissima attenzione all’impatto del comportamento dei docenti sui giovani. Banalizzo, ma chi ha pubblicato due libri e non è mai andato in aula a far lezione e non si fa mai trovare a ricevimento è valutato meglio di chi prende sul serio il suo impegno di didattica. Il garante degli studenti va in questa ottica.

 

Riprendete un’idea che anche il ministro Passera ha citato: l’articolo 10 prevede incentivi fiscali per chi assume giovani laureati.

Passera però limitava gli incentivi ai laureati in materie tecnico-scientifiche, noi non prevediamo questa distinzione. E soprattutto la differenza è che nella nostra proposta anche il lavoratore, non solo l’impresa, ha un vantaggio fiscale. È solo un segnale, ma qualcosa bisognerà pur cominciare a fare per fermare il brain drain!

 

Il terzo punto che sottolineate, nella lettera a Profumo, è la necessità di una selezione trasparente e rigorosa, evitando tuttavia che si creino sacche di precarietà senza speranza.

Sono due punti a cui tengo moltissimo. La revisione delle procedure di selezione del personale accademico è urgentissima, perché stanno partendo le procedure per formare le commissioni per abilitare i docenti e andare a formare le liste da cui attingere i professori ordinari. Oggi non c’è limite al numero delle abilitazioni, per cui sa come finirà? Si abiliteranno tutti e poi siccome ogni università può chiamare chi vuole, in autonomia, di fatto non cambierà nulla. Secondo noi due cose vanno fatte assolutamente: mettere un tetto al numero di abilitazioni e far tenere ai candidati una lezione pubblica, davanti alla commissione ma anche agli studenti.

 

E la precarietà senza speranza?

I contratti a tempo determinato dei ricercatori oggi producono questo. Ovvio che non possono esserci garanzie automatiche di scorrimento verso l’alto nella carriera universitaria, però non si può nemmeno lasciare a piedi un ricercatore a 35 anni, magari con una famiglia. Per questo suggeriamo una riserva del 10% nei concorsi a cattedra per le scuole primarie e secondarie.


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