Formazione

I giorni di fuoco del servizio civile

Le polemiche per i giovani in marcia il 2 giugno e l'attesa per il rifinanziamento. "Attenti all'invasione militare nel civile", avverte l'esperto Antonino Drago

di Daniele Biella

Mai quanto prima d’ora il servizio civile tiene banco. Sarà la modalità di partecipazione alla parata del 2 giugno, prima con le foto di addestramento su facebook che hanno creato polemiche (leggi qui) poi con i 41 volontari in sfilata il gran giorno (marcia non militare ma pur sempre ‘militaresca’, in formazione compatta con passi e gesti cadenzati) che si sono ritrovati al centro di un’attenzione che è andata al di là, nel bene e nel male, delle loro buone intenzioni; sarà il continuo rimarcare del ministro per la Cooperazione e l’integrazione Andrea Riccardi a “una soluzione che spero a breve salverà le sorti del Scn, Servizio civile nazionale”, alle prese con la crisi di fondi e il rischio chiusura a fine 2013: di certo una buona fetta del volontariato giovanile, e gli enti del Terzo settore che organizzano le partenze dei ragazzi, è in trepida attesa di un coup de theatre.

Domani, mercoledì 6 giugno 2012, si riunisce la Consulta nazionale per il servizio civile, ovvero rappresentati de Governo, degli enti pubblici e privati, dei volontari. Sarà la volta buona?
Non ci sarà Riccardi, ma qualche indicazione potrebbe arrivare dal braccio operativo governativo, l’Unsc, Ufficio nazionale servizio civile. Nel frattempo, continuano a partire i volontari scaglionati del 2012 (a inizio giugno hanno preso servizio, tra gli altri, i 529 giovani di Caritas italiana), mentre ancora oggi sui social network è al centro dell’attenzione la parata della Festa della Repubblica e lo strascico di polemiche tra chi ha ritenuto utile alla causa la presenza dei giovani serviziocivilisti in marcia e chi ha visto in tal gesto la cancellazione di decenni di lavoro sull’obiezione di coscienza alla leva e ai rapporti di forza del mondo delle forze armate.

“E’ come se ad una parata di leghisti lo speaker dicesse: ‘e adesso sono qui con noi questi meridionali che amano pizza, spaghetti e mandolino’ con un gruppo di meridionali che bevono birra e mangiano crauti e stupirsi che i leghisti si mettano a dargli patte sulle spalle e strizzate d’occhio (con i militari nella parte dei legisti e i serviziocivilisti nei panni dei meridionali, ndr)”. Questa la similitudine di Carlo Schenone, esperto formatore universitario di gestione e risoluzione nonviolenta dei conflitti. “Certamente i militari hanno trattato i volontari con rispetto, tenendo ben presente però che il loro comportamento dimostrava il rinnegare dei valori che avrebbero dovuto testimoniare”, analizza Schenone. Le sue parole, così come quelle di altre persone critiche nei confronti dell’immagine data dai giovani alla parata, sono state ribattute da altrettante forti prese di posizione in primis da parte di chi ha fatto parte della delegazione dei 41 volontari, che per due settimane sono stati esentati dal proprio servizio a Roma e dintorni (per vari enti tra cui Acli e Uildm) per prepararsi alla sfilata al campo militare di Guidonia.

Tra accuse di “pacifismo ideologico” e orgoglio per “aver fatto vedere agli italiani che il servizio civile esiste”, le posizioni più pacate e costruttive sono state quelle dei rappresentanti dei volontari, che negli ultimi tempi hanno cercato di far dialogare due mondi tra loro molto distanti, soprattutto per chi, giovanissimo, si avvicina al Scn non consapevole del tutto della sua storia. “Prima abbiamo scritto a Napolitano per chiedere il ripristino dei fondi, poi quando all’Unsc è arrivato l’invito a partecipare alla parata, abbiamo deciso di aderire per mettere in risalto il nostro ruolo e le nostre ragioni. Il protocollo della sfilata era stretto, ma noi abbiamo fatto il possibile per distinguerci, ad esempio eravamo colorati, blu e bianco, ma soprattutto abbiamo partecipato alla stesura del testo che poi è stato letto dallo speaker durante la parata e in televisione”, specifica l’abruzzese Silvia Conforti, una dei quattro rappresentanti, che ha finito da poco il proprio servizio presso il Csv dell’Aquila.

Nel testo originario, oltre alla dicitura ‘corpo civile non armato e non violento’ (che è stata letta) , c’era anche un cenno alla crisi dei fondi, “ma poi con l’ulteriore riduzione dei tempi della parata in solidarietà con il terremoto in Emila, tale parte non è stata letta. Peccato”, aggiunge Conforti. “Fino all’ultimo i giovani sono stati in dubbio se partecipare o meno alla sfilata”, rivela, “poi, anche con il nostro appoggio, hanno aderito, perché il loro obiettivo era approfittare dello spazio far parlare del Scn”. Nonostante il fermo immagine che resta in mente sia quello di uno squadrone in marcia? “Nonostante tutto. Magari l’anno prossimo troveremo una modalità diversa. L’importante è che la nostra presenza non sia stata vana e ora arrivi un segnale positivo per il rifinanziamento”.

A tal proposito, Vita.it ha chiesto a uno dei massimi esperti italiani di difesa popolare nonviolenta e alternativa al servizio militare, il docente dell’Università di Pisa Antonino Drago, classe 1938: “Siamo di fronte a una totale e voluta ambiguità, nella quale lo Stato ci gioca”, afferma in modo risoluto, “da quasi un decennio, oramai, dalla scomparsa della leva obbligatoria, il mondo militare ha invaso il campo civile: il simbolo è il fatto che la parata stessa sia un’esibizione delle Forze armate in un giorno in cui si festeggia la Repubblica italiana”. E la partecipazione, in tali modalità, dei 41 giovani alla parata? “Fa parte di questo schema. Per motivi affettivi e psicologici questi ragazzi si sono sentiti di partecipare, ma a monte c’è un disegno generale molto chiaro, in cui i primi a parlare di pace sono gli stessi militari”, continua Drago, che nel 2004 è stato il primo direttore del Comitato Dcnan, Difesa civile non armata e nonviolenta, istituito in seno all’Unsc e alla Presidenza del Consiglio dei ministri, “anche lo stesso quadro giuridico in cui si muove oggi il Servizio civile nazionale è quello del mondo militare, da quando con il decreto legislativo 66 del 2010 è stata abrogata quasi in toto la legge 230 del 1998: nell’intento di accorpare tutte le leggi sulla difesa nel nuovo Codice dell’ordinamento militare, di fatto si è cancellata la separazione giuridica tra difesa armata e difesa non armata”.


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