Politica

Riccardi: «L’emergenza ha unito italiani e immigrati»

Cosa ha detto il ministro a Italia sul Due

di Redazione

Andrea Riccardi, ministro per la cooperazione internazionale e l’integrazione, è stato ospite di ItaliaulDue, la trasmissione condotta da Lorena Bianchetti. A tema il terremoto, i primi mesi al Governo, la situazione in Vaticano. Ecco le risposte del ministro.

 

Lei ha appena pubblicato un libro, Dopo la paura la speranza. Titolo che sembra perfetto per dare un messaggio agli emiliani… Stiamo affrontando un’altra paura, il nostro Paese è sempre più vulnerabile?

«Il terremoto è come un ladro che ti prende nella notte. Noi rischiamo di essere sempre più la civiltà della paura, siamo tutti un po’ più spaesati, ma la speranza non deve e non può morire».

L’Emilia è terra di grande immigrazione, qui c’era lavoro per tutti. Indiani, islamici, africani, est europei, cinesi vivono fianco a fianco degli italiani, i loro figli vanno a scuola insieme. Cambierà il nostro tradizionale modo di vivere?».

«Bisogna superare l’idea che l’immigrazione sia un’invasione. Da ministro dell’immigrazione voglio ricordare che nel terremoto sono morti anche quattro immigrati che lavoravano fianco a fianco con gli italiani».

 

Lei andrà in Emilia?

«Vado sabato, farò un vasto giro per quelle zone terremotate, mangerò con loro. Voglio passare la Festa della Repubblica con gli emiliani. Ho pensato molto in questi giorni al valore di un abbraccio da dare a questa gente, al comunicare loro che se non ci fosse un’Italia unita sarebbero più soli. Esiste una casa comune italiana un’antica civiltà dalle radicata umanità e dalla forte operosità. Questa casa comune ha radici, ma anche un domani».

 

Primo bilancio dei sei mesi da ministro

«Ho accettato questo incarico pur non avendo mai voluto fare politica, ma sentivo che il momento era tragico, che tutti dovevamo impegnarci per provare ad allontanarci da quel baratro che avevamo alle spalle. Ora non siamo più lì, sul baratro. In questo periodo sono stato spesso all’estero: ho visto che c’è bisogno dell’Italia nel mondo anche per questo non dobbiamo mollare».

 

«Lei ha scritto: “La politica è caduta in discredito in Italia. E se c’è stata qualche grande passione politica si è spenta nella delusione”. “Le pagine di politica interna dei giornali fanno star male i lettori… c’è un aspetto preoccupante: l’intreccio oscuro tra politica, affari, corruzione. Un quadro desolante. Si diventa rassegnati: che si può fare? Nel frattempo gli italiani si arrabattano con le difficoltà del bilancio familiare… Oggi manca la speranza che qualcosa possa cambiare”. “La politica ha bisogno di respiro altrimenti si schiaccia su interessi privati…”. Insomma, ministro, che cosa si può fare allora per tornare a credere in un futuro condiviso, in cui sentirsi tutti meno indifesi?

«Dobbiamo rigenerare la passione per la politica, i partiti si devono rifondare e la ricetta è semplice: la politica deve stare vicina alla gente. Un paese senza politica non si regge e un governo tecnico non è anti politica, ma è una possibilità data alla politica di rigenerarsi».

 

«Lei nel suo libro scrive: “La crisi non finisce. I giovani faticano a trovare lavoro. Le famiglie fanno i conti con stipendi sempre uguali e costi in crescita. Per molti italiani è la stagione dei sacrifici; per altri il futuro è buio. I dibattitti della politica sono lontani dal vissuto faticoso. I voto alle elezioni amministrative ha avuto anche un carattere di protesta. O la protesta si è fatta astensione. Sono costanti gli appelli della Chiesa per un nuovo impegno dei cattolici in politica, specie i giovani”. Giovanni Paolo II diceva che la Chiesa non può essere interpretata da un solo partito. Come ristrutturare un’Italia infragilita?».

«Ci vuole speranza anche in politica. Non è vero che i giovani pensano solo a trovare lavoro, cosa peraltro sacrosanta visto le difficoltà che ci sono. I giovani avrebbero voglia di fare politica, ma non trovano interlocutori… Credo che la politica debba innanzitutto migliorare la vita. I cattolici negli anni scorsi sono stati per lo più distaccati dalla politica perché la sentivano come un gioco sporco dove vigevano i giochi di palazzo, lontani dalla gente e dai loro bisogni. Ma ora non si può più attendere. Noi abbiamo bisogno di sentirci Italia perché in un mondo globalizzato non si va in ordine sparso, questa è tempo di luci accecanti dei media internazionali, di ripiegamento su di sé e sul proprio territorio a fronte delle correnti a volte invasive della globalizzazione estrema. La gente, spaesata, cerca radici, identità, casa, parole sul futuro. Per questo dobbiamo essere Italia e poi Europa.

 

«Lei ha scritto: “Quando l’Italia è entrata nell’euro ha fatto la scelta giusta perché altrimenti il nostro Paese sarebbe in caduta libera”. Eppure, parte degli italiani la pensano in modo diverso, considerano questa scelta come l’inizio delle difficoltà tanto più che la gente si sente lontana dalla burocrazia di Bruxelles e dalla politica europea senza volto…»

«Ricevo parecchi messaggi dalla gente e sento anch’io che per molti l’Europa ha la faccia di una matrigna che viene a dirci cosa chiudere e dove tagliare. La gente ha la percezione che l’Europa sia come una zia esigente e senza cuore. Non è così. Certo, credo che in alcuni momenti avrebbe dovuto essere più lungimirante, come nel caso della Grecia. Ma in altri casi, l’Europa concede. Penso al fatto che noi italiani non utilizziamo tutti i fondi europei: è da lì che con il ministro Barca abbiamo preso i soldi che abbiamo impegnato per asili e assistenza agli anziani. L’Europa, insomma, dà anche, Europa è prima di tutto una comunità di destino, senza Europa non abbiamo futuro».

 

«Lei è uno storico e studioso di storia religiosa, come vive i titoli sul Vaticano di questi giorni, l’ombra che tocca la Chiesa?»

«Da studioso posso garantire che fatti simili, e anche più gravi, sono sempre successi in Vaticano. Quello che è capitato ora mostra sicuramente la fragilità di sempre del Vaticano, ma anche il fatto che da parte nostra dobbiamo stare attenti a non ingigantire i fatti più di quello che sono».

 

«Lei nel suo libro dice che l’uomo e la donna trovano risposta alla solitudine nella famiglia, ma i dati parlano chiaro: incomprensione, separazioni, divorzi… Il cardinale Scola ha detto che non si può parlare di crisi della famiglia ma bisogna chiedersi da dove deriva il travaglio che la sta attraversando. La politica deve fare ancora molto per la famiglia».

«La vera crisi è quella dei legami. Oggi trionfa la cultura della solitudine, l’esaltazione dell’individualismo, il tessuto sociale dei giorni nostri è frammentato. Nella Bibbia c’è scritto che l’uomo non deve vivere solo e anch’io lo credo. In questa crisi economica, dunque, si nasconde la madre della crisi ed è quella dei legami. Un uomo solo è un uomo più fragile, ma anche un uomo con meno opportunità».

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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