Non profit

De Rita: «Le fondazioni di origine bancaria restino strumento di sussidiarietà»

di Riccardo Bonacina

Non posso non aderire a un Manifesto che ricorda come “Nei loro territori le fondazioni, grazie alla loro alla terzietà e autonomia, concorrono al rafforzamento della nostra democrazia e alla promozione dello sviluppo economico e sociale. Sostenendo, in forma sussidiaria, l’autorganizzazione dei cittadini e la loro capacità di risposta ai problemi”». Non ha dubbi Giuseppe De Rita, oggi presidente del Censis ma, negli anni istituenti le fondazioni d’origine bancaria, presidente del Cnel e in quanto tale coinvolto nel percorso legislativo che diede origine al loro quadro normativo e regolativo.
Erano gli anni che portarono alla legge delega n. 461 del 1998, che fissava i tre pilastri della loro nuova vita dopo la separazione dalle banche: la natura delle fondazioni, i criteri degli investimenti e l’attività erogativa a favore del non profit, e il successivo decreto legislativo n. 153, che attribuiva alle fondazioni una natura giuridica privata senza fine di lucro, dotate di piena autonomia statutaria e gestionale per perseguire esclusivamente scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico.

Due temi ancora aperti
«Ho un ricordo preciso di quel momento istituente in cui fui coinvolto come presidente del Cnel alla fine degli anni 90», continua De Rita, «ci fu un vero scontro su due questioni: la prima riguardava l’articolo 2 della legge per inserire la nozione di “sviluppo locale”. Una battaglia perché nelle intenzioni del governo le fondazioni avevano una funzione di supporto o addirittura di sostituzione in alcuni interventi di welfare e di cultura, cioè dovevano fare quello che sovrintendenze, scuole e ospedali non riuscivano più a fare. Giuseppe Guzzetti e il Cnel ? Armando Sarti, in particolare ? si batterono su questo punto. Ecco, oggi questo punto è diventato ancor più importante, perché qualifica la funzione pubblica delle fondazioni senza farle cadere nel baratro di tante iniziative insensate e costosissime come quelle di far nascere università o musei o nel buco nero dei finanziamenti a pioggia sobbarcandosi compiti non sussidiari ma sostitutivi dell’ente pubblico. Qui, si arriva alla seconda questione: se tu sei uno strumento sostitutivo del pubblico rischi di snaturarti e di trasformarti in un ente pubblico e quindi la natura privata dell’ente veniva messa in crisi».
Sviluppo locale e natura terza e autonoma delle fondazioni d’origine bancaria sono i due assi che in questi decenni sono da una parte messi sotto attacco da una parte dal settore pubblico in ansimante ricerca di soldi, dall’altra da economisti di scuola americana, come Luigi Zingales o Roberto Perotti. Al cui proposito Giuseppe De Rita è categorico: «Sono economisti che poco sanno del nostro Paese e perciò non capiscono né le fondazioni né le banche locali cooperative, magnifiche aporìe italiane. Aggiungerei però un altro elemento di fragilità in questi anni: il provincialismo e l’opacità burocratica di qualche fondazione, che è riuscita a resistere al grande sforzo di innovazione e di trasparenza del presidente dell’Acri Guzzetti, che continua anche con la recentissima Carta delle Fondazioni».

Adesione aperta
È un’adesione al Manifesto (che pubblichiamo qui nella pagina a destra), ragionata, prospettica quella di De Rita, tra le prime ad arrivare in redazione, dove nel giro di una settimana sono state raccolte oltre 50 firme “pesanti”, di presidenti di organizzazioni della società civile e del mondo cooperativo, di docenti, di autorevoli editorialisti, economisti, sociologi.
Voci che ricordano spesso le due sentenze della Corte Costituzionale del 20013 (la n. 300 e la n. 301) in cui, dopo la Finanziaria del 2001 che mise in discussione la legge Ciampi, venne scritto che le fondazioni sono «persone giuridiche private dotate di piena autonomia statutaria e gestionale da iscrivere tra i soggetti dell’organizzazione delle libertà sociali». Un corpo intermedio tra i corpi intermedi quindi, un soggetto privato attivo nella società civile, un’infrastruttura immateriale e locale di un sistema economico sociale ed economico pluralistico che persegue il bene comune con una logica di intervento sussidiaria, come ricordano Giorgio Vittadini e Andrea Olivero: un’infrastruttura immateriale che negli ultimi due anni (2009 e 2010 gli ultimi rendicontati e già dentro la crisi economica) ha erogato risorse superiori ai 1.300 milioni.
Interessante la motivazione con cui Graziano Delrio, presidente Anci e sindaco di Reggio Emilia, ha aderito: «Nella mia esperienza di sindaco ho potuto constatare l’efficacia dell’apporto delle fondazione bancarie, soprattutto quando si lavora con una governance condivisa per il bene comune, superando ad esempio la logica del contributo a pioggia, per una maggiore condivisione con le istituzioni e la società civile dei progetti necessari per una comunità. In un momento di grave carenza di risorse pubbliche, le fondazioni possono fare la differenza sia per un welfare di comunità, sia sul sostegno all’educazione e alla cultura. L’indipendenza delle fondazioni bancarie, cioè l’autonomia da ogni condizionamento economico o di parte, credo sia imprescindibile per poter dialogare al meglio con le comunità locali».
Chiosa Aldo Bonomi: «Credo che il welfare di comunità sia oggi per le fondazioni il terreno di fondamentale importanza. Le fondazioni come facilitatori dell’incontro tra i diversi attori locali impegnati nella sperimentazione di un nuovo welfare motore di sviluppo e di benessere».

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