Salute

Ospedali “all’altezza dei bambini” con Abio

La Fondazione rilancia il percorso di certificazione per le pediatrie

di Antonietta Nembri

Un ospedale all’altezza dei bambini. Non è una velleità, ma una necessità. Ne sono certi alla Fondazione Abio Italia per il bambino in ospedale che oggi ha presentato l’avvio di un percorso importantissimo: la certificazione delle unità operative di pediatria. Operazione che consente di verificare e misurare la qualità dell’accoglienza e della presa in carico dei bambini. Come ha rilevato Beppe Severgnini che ha moderato l’incontro di questa mattina a Milano «vogliamo sapere da dove arriva l’olio di oliva, ma non riteniamo altrettanto importante sapere dove va nostro figlio. Dobbiamo uscire da questa abitudine tutta italiana di chiedere informazioni all’amico, al cugino, al portiere invece di chiedere se la pediatria è certificata».

Questa certificazione proposta da Abio che nasce dalla Carta dei diritti dei bambini e degli adolescenti in ospedale è, come ha sottolineato Vittorio Carnelli, presidente di Fondazione Abio aprendo la conferenza stampa un passo importante «per tutti gli operatori sanitari». Fondazione Abio Italia, in collaborazione con Sip (Società italiana di pediatria), Progea e Joint Commission International, ha elaborato uno strumento che da un lato consente alle strutture ospedaliere di valutare la qualità del servizio offerto, dall’altro permette ai genitori di conoscere gli ospedali “All’altezza dei bambini” (nell’immagine il logo), che hanno cioè ottenuto la Certificazione Abio/Sip.

Due gli ospedali che hanno già effettuato il percorso di valutazione, ottenendo entrambe il certificato di ospedale “All’altezza dei bambini”: l’Azienda Ospedaliera Niguarda Ca’ Granda di Milano e l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant’Orsola-Malpighi di Bologna. «Siamo sulla rampa di lancio e dopo le prime due ora ci sono altre certificazioni in corso» ha annunciato. Carnelli ha anche ricordato come sia sì importante «il livello di qualità, le migliori cure, ma è altrettanto importante che i diritti dei bambini e degli adolescenti siano presi in considerazione».

Al progetto di Abio oltre a Sip collabora anche l’Ipasvi (la federazione nazionale dei collegi infermieri professionali, assistenti sanitari, vigilatrici d’infanzia).

A spiegare il funzionamento del percorso di accreditamento, Filippo Azzali, consulente della Joint Commission Italia. «I dieci principi contenuti nella Carta dei Diritti sono stati raggruppati in 4 aree: accoglienza e supporto; informazione ed educazione dei bambini, degli adolescenti, dei familiari e informazioni; continuità delle cure e integrazione; specificità delle cure». A queste quattro se ne è aggiunta una quinta intitolata “Leadership e Misure” «per dare enfasi all’importanza della leadership e al tema della raccolta dati e indicatori. La modalità di verifica è rappresentata dalla visita dei valutatori nell’ospedale oggetto di valutazione. Il cuore del percorso si incentra nella visita al reparto di pediatria e nell’intervista al personale presente. L’ospedale dovrà leggere criticamente il Manuale e identificare le possibili aree di miglioramento». Azzali ha inoltre sottolineato che quello che si apre con la certificazione è un processo «in divenire della durata di tre anni». In pratica questa valutazione sul campo fatta da esperti di certificazione non viene acquisita e fatta una volta per tutte.

Sulla stessa lunghezza d’onda anche Alberto Ugazio, presidente Sip che da una parte ha ricordato come l’associazione abbia sposato l’iniziativa della Carta dei diritti di Abio «e tutto quello che ne è seguito ovvero il tentativo di trasformare i diritti in opportunità. Ma possiamo migliorare solo ciò che misuriamo: l’accreditamento serve per sapere quanto vicino è un reparto agli standard migliori». Ugazio ha anche ricordato che «l’accreditamento per sua natura è temporaneo. Joint Commission aiuta ad alza l’asticella della qualità».

All’incontro hanno preso la parola anche Giuseppe Genduso, direttore sanitario dell’Ao Niguarda di Milano e Mario Lima, direttore del dipartimento Materno infantile del Sant’Orsola di Bologna, entrambi hanno sottolineato la positività dell’esperienza di certificazione. «Questi percorsi obbligano lo staff a lavorare insieme a dare il meglio di sé dopo essersi messi a nudo. Si tratta di responsabilità nel senso etimologico del termine ovvero di risposte. Cioè tutti gli attori del reparto si mettono in moto per rispondere al bisogno» ha ricordato Genduso. «Aver scelto il percorso con l’aiuto della società scientifica di pediatria e di una grande realtà di volontariato ci ha permesso di confrontarci riguardo a tutti gli aspetti che riguardano la nostra capacità di accogliere e curare i bambini. Rilevare le nostre debolezze ci aiuterà a lavorare in modo mirato per essere sempre più aderenti ai principi della Carta dei Diritti». Da parte sua Lima ha sottolineato l’importanza di «ricordare che ogni giorno la certificazione va protetta e conquistata. Il rischio è l’abitudine».

La certificazione per Barbara Mangiacavalli, segretaria nazionale dell’Ipasvi, è «un progetto intrigante» anche perché ha sottolineato «è la possibilità di veicolare la voce degli stakeholder e il destinatario delle nostre attività non è solo il bambino, ma la sua famiglia» soddisfatta anche del fatto che nella certificazione gli aspetti presi in considerazione «sono tra gli aspetti valoriali dell’infermiere come la capacità di entrare in relazione».

A rendere possibile concretamente l’operazione, ogni singola certificazione ha un costo di circa 3mila euro, è il sostegno di P&G, a fianco di Abio fin dal 1999 con il programma Ospedale amico, che permetterà di finanziare dieci percorsi di certificazione.
Perché come ha ricordato Regina Sironi, segretario generale di Fondazione Abio lo scorso anno al lancio della certificazione «abbiamo avuto 50 adesioni, poi la cosa si è fermata». A frenare l’avvio del percorso da un lato la difficoltà delle strutture a mettersi in gioco in una certificazione non obbligatoria «il nostro grande nemico è l’idea che “si è sempre fatto così, perché dobbiamo cambiare?”. Dall’altro anche il costo dell’operazione. Quello che cerchiamo di fare è far diventare la certificazione un’esigenza. In fondo il nostro ruolo come volontari è quello di avere una visione. Il volontariato è un anticipatore dei bisogni e delle risposte».

All’appello, dopo il Niguarda e il Sant’Orsola al momento ha aderito Mantova, altri contatti sono in corso ma l’obiettivo è riuscire ad avere quanti più ospedali all’altezza dei bambini, ovvero quante più pediatrie possibili in grado di aderire concretamente e in modo misurabile alla Carta dei Diritti dei Bambini e degli adolescenti in ospedale.


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