Non profit

Casa Cerri: la strana “normalità” abita in 100 metri quadri

di Daniele Biella

Metti il piede oltre la soglia dell’abitazione e la sensazione è immediata: non ci sei mai stato prima, ma ti senti a casa. Accolto. Non ne capisci subito il motivo, però. Muri bianco stinto ma caldi e ravvivati da disegni di bambini in odine sparso. Doppie file di libri negli scaffali, attaccapanni su cui s’inerpicano troppe giacche per la sua portata, ma è un disordine che più ordinato, e vitale, non si può. In tutto, 100 metri quadri su due piani in cui vivono nove persone: due genitori e sette figli. È un pomeriggio di maggio quando veniamo accolti nella dimora della famiglia Cerri, appartamento alla fine di una tranquilla stradina senza sbocco di Paina di Giussano, provincia di Monza e Brianza.

E non è ancora finita…
Il primo che piomba giù per le scale a prenderti è il sorridente Giancarlo, 8 anni che sembrano almeno un paio in più, seguito a pochi secondi di distanza da Giovanni, 3 anni e molta energia, che si presenta con i cubotti di legno colorati per renderti partecipe delle sue ultime intuizioni geometriche. Il primo è un figlio naturale di papà Giampaolo e mamma Grazia, entrambi fiorentini e 49enni, il secondo è un accolto “occulto”, ovvero il cui allontanamento dalla famiglia d’origine è stato imposto dal Tribunale dei minori: questo lo sapremo dopo, e in fondo poco cambia. Questione di forma più che di sostanza. «Prima o poi ridipingeremo, è che siamo un po’ presi», ti accoglie ironico il capofamiglia, omone di mestiere giornalista ma che si muove bene anche tra caffettiere, merende per i bambini e compiti di scuola, tutte cose che fa in simultanea nei primi dieci minuti del nostro colloquio.
Giampaolo inizia a raccontare della sua famiglia, ma i fatti lo precedono. Uno dopo l’altro, arrivano tutti: prima Maria Pia, 10 anni, e Sandra, 11 (nata in Sudamerica e seconda accoglienza di casa Cerri), che scendono dalla loro camera dopo aver finito lo studio pomeridiano. Poi Grazia, madre casalinga sempre in movimento, la primogenita Martina, 23 anni, iscritta al quarto anno di Legge alla Statale di Milano, e il 19enne Francesco, liceale che ha appena finito il turno di volontariato alla residenza per anziani del paese. Di lì a una mezz’oretta completerà il quadro Antonio, reduce da una lezione di Ingegneria gestionale al Politecnico.
Ecco tutto: cinque figli naturali, due affidi, e la sensazione che il numero nove non sia ancora quello definitivo. «Le porte qui sono sempre aperte, è giusto farsi stravolgere dalla vita, partendo dalla consapevolezza che niente è del tutto in mano nostra, neppure i figli», sottolinea Gianpaolo. Che non è affatto un guru della porta accanto: «Siamo persone normalissime, comunque un po’ troppo borghesi, per questo ci siamo lasciati tentare dalla sfida dell’accoglienza». Alla coppia toscana, nata sui banchi di scuola delle superiori e convolata a nozze nel 1986, non bastavano i tre figli già all’attivo a 30 anni, o gli altri due (e fanno cinque) arrivati dopo il trasferimento da Firenze in Brianza nel 2000, per il lavoro del padre («avevamo detto stop allora, poi però sono arrivati, non programmati ma voluti», interviene Grazia). Quattro anni fa, a una cena con amici, hanno conosciuto alcuni membri dell’associazione Cometa, che a Como e dintorni ha creato una rete di 30 famiglie affidatarie di minori. «È stato un colpo di fulmine, siamo andati a visitare la casa dei fondatori e, colpiti dall’umanità di tale esperienza, abbiamo deciso di metterci a disposizione».

Ramanzine e amici in visita
E pensare che il primo affido è svanito per un soffio per problemi burocratici: ma poi è arrivata Sandra, a cui si è aggiunto l’anno scorso Giovanni. E i figli naturali? «Li abbiamo informati a decisione presa, ma speravamo nella loro approvazione», risponde Giampaolo. «È stata una novità senza grossi traumi», conferma Martina, la figlia più grande. È stato più difficile convincere i nonni: «Ci hanno dato di’ grulli, che in fiorentino vuol dire “matti da legare”», rivela Grazia, «ma ora ci sentono contenti, e approvano». Il massimo sono stati i dirimpettai: «Da vicini modello “buongiorno- buonasera”, ora ci aiutano a più non posso, stirano i vestiti, danno una mano nei lavori di casa…». Ci sono poi le altre famiglie di Cometa, presenti seppur sparse in paesi vicini e lontani: essere famiglia numerosa e affidataria «è proibitivo senza una rete di persone con cui condividere esperienze e consigli, gioie e dolori», conferma Giampaolo.
Guai a pensare che la quotidianità sia in balìa degli eventi: ognuno ha il suo ruolo a seconda dell’età, ci sono i turni di corvée per le mansioni di casa, le ramanzine e le feste (in cucina i festoni per i 3 anni di Giovanni sono appesi da quasi un mese), la tv è da razionare e le stanze da condividere. «Ma riusciamo a fare quello che vogliamo, magari con meno tempo di qualche anno fa. E portiamo gli amici a casa», riporta Francesco. Proprio così, vengono anche gli amici: «All’inizio rimangono a bocca aperta, sono curiosi. Poi tornano spesso», aggiunge Antonio. Martina, educatrice all’oratorio di Giussano, ha il fidanzato da cinque anni: «Certo che viene, come io vado da lui: ha un solo fratello, le cene a casa loro sono così silenziose rispetto a qui…», spiega divertita.
A casa Cerri il tempo vola: per noi è già tempo di congedo. Non prima di una visita nelle minuscole, vive stanze del piano alto, in cui anche fisicamente scompare la differenza tra prole naturale e accolta. Ultimo sguardo ai genitori: ne vale davvero la pena? «Sì, perché è un messaggio di speranza, anche in tempo di crisi. L’accoglienza porta con sé il vero valore della famiglia», è il commiato di Giampaolo. La controprova arriva da Martina, che avviciniamo senza farci sentire da mamma e papà. «La mia famiglia futura? Numerosa, di sicuro. E aperta all’altro».


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA