Quando, nel giugno 1992, si iniziò a parlare di biodiversità nel corso del grande Summit mondiale di Rio su ambiente e sviluppo, l’opinione era che si dovessero difendere ? con una convenzione internazionale simile a quella sul clima ? le colture tradizionali e la flora potenzialmente utile per la farmacologia dall’avidità delle multinazionali dell’alimentazione e del farmaco, bramose di prelevarle per imporre brevetti capestro alle popolazioni native.
Negli anni successivi, constatando l’inarrestabile processo di distruzione delle foreste tropicali, detentrici della maggior parte delle specie di flora e fauna che compongono la biodiversità, l’azione internazionale si ampliò con l’obiettivo di salvare, entro il 2020, quanto più possibile dell’infinita componente vivente del Pianeta.
Ebbene, ad un mese circa dal nuovo appuntamento mondiale con Rio +20, in cui i governi della Terra faranno il punto sullo stato di salute del Pianeta e le strategie da adottare, la fotografia fornita dal Living Planet Report WWF è tutt’altro che incoraggiante.
Siamo talmente avidi che in un anno “divoriamo” le risorse naturali di un Pianeta e mezzo.
Una voracità che ha provocato, solo fra il 1970 e il 2008, la perdita del 30% di biodiversità a livello globale con punte del 60% nei Tropici, tra le aree geografiche più colpite del mondo.
Un trend di sovrasfruttamento confermato anche dai dati sull’impronta ecologica degli ultimi anni. In pratica viviamo come se avessimo un pianeta in più a nostra disposizione. Stiamo utilizzando il 50% di più delle risorse che la Terra può produrre.
L’Indice del Pianeta Vivente che misura lo stato di salute della biodiversità della Terra in questo rapporto biennale del WWF ha analizzato 9mila popolazioni di specie di vertebrati di oltre 2.600 specie e ha indicato una riduzione globale del 30%, dal 1970 ad oggi.
Cinque sono le mosse per salvare il Pianeta, che vanno dalla protezione del capitale naturale all’orientamento dei flussi finanziari fino alla gestione equa delle risorse.
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