Non profit

Impact investing: finanza sociale con lo spirito da Silicon Valley

di Ottavia Spaggiari

«Esistono nuovi approcci che possono essere sfruttati in modo molto efficace per creare un cambiamento sociale: l’impact investing è uno di questi». Laura Callanan ? docente alla Business School della New York University e membro dell’Ufficio per l’imprenditoria e l’innovazione sociale della società di consulenza internazionale McKinsey & Company ? ha le idee chiare su quali possano essere le alleanze future tra profit e non profit.
Perché McKinsey ha costituito una task force dedicata all’imprenditoria e all’innovazione sociale?
La nostra practice dedicata al sociale è stato avviata circa cinque anni fa e opera in alcuni campi specifici: lo sviluppo economico, la sanità, l’istruzione, la sostenibilità e l’innovazione sociale, il gruppo in cui lavoro io. Ci concentriamo sulla valutazione dell’impatto sociale, ovvero su quei metodi di misurazione dei risultati che consentono di verificare che sia stata intrapresa la giusta strada rispetto all’impatto sociale che si vuole ottenere. Inoltre, studiamo come questi metodi di valutazione possano essere utilizzati per strutturare e sviluppare programmi a impatto sociale, e analizziamo strumenti di finanza sociale innovativa.
Che cosa sono gli impact investments?
L’impact investing è un tipo di investimento molto più concentrato, rispetto ai Socially responsible investments (Sri), sul conseguimento di un risultato sociale che accompagni il ritorno finanziario. In questo approccio vi è molta più specificità rispetto all’obiettivo sociale che si intende ottenere attraverso l’investimento.
È questa la nuova frontiera?
Negli ultimi anni ho osservato un’energia e una volontà sempre più spinte in questa direzione. Una delle ragioni è che alcuni giovani, soprattutto negli Usa, detengono ricchezze personali significative, grazie ai venture capital, ai fondi speculativi, oppure nelle internet company. Questi giovani oggi vogliono mettere le proprie risorse a servizio della società e, per farlo, utilizzano lo stesso metodo che li ha aiutati a costruire la propria fortuna. Fino a quindici anni fa, c’era una divisione molto netta tra chi voleva raggiungere obiettivi sociali e chi invece sapeva come avere successo negli affari. Quello che si vede adesso, già tra gli studenti universitari, è che si stanno formando dei veri talenti in grado di mischiare capacità di fare affari e attenzione sociale. E questo favorisce l’impact investing.
Cosa serve per far crescere questo tipo di investimenti?
È necessario che il settore diventi più standardizzato, così da ridurre i costi delle operazioni e i tempi di valutazione dei rischi. La cultura condivisa ci permette di avere gli stumenti e le buone pratiche necessarie a ottimizzare le operazioni, contribuisce a creare standardizzazione e coerenza tra prodotti d’investimento diversi, creando più efficienza nel mercato.
Quali sono i vantaggi che gli impact investments comportano per l’investitore?
Si ha un doppio ritorno, finanziario e sociale. Mentre però tutti conosciamo quali siano i trade-off di un investimento finanziario, è più difficile misurare il ritorno sociale, perché è un campo di studio su cui si sta ancora lavorando. In McKinsey abbiamo attivato un programma volto proprio allo studio delle metodologie di misurazione dell’impatto sociale, denominato Learning for Social Impact Initiative. Ma anche il Global Impact Investing Network ha fatto molto per sviluppare il concetto di impact investing. Per creare degli standard di misurazione del ritorno sociale necessari, ad esempio, per poter confrontare due diversi fondi d’investimento sociale.
L’impact investing può avere un senso in un Paese come l’Italia?
Assolutamente sì. In un mercato sviluppato come l’Italia, l’impact investing potrebbe riguardare prodotti equosolidali o biologici, oppure servizi in grado di ridurre il consumo energetico. Vi sono sempre più aziende che integrano all’interno dei propri processi obiettivi finanziari, commerciali e sociali. Negli Stati Uniti questo sforzo si traduce in quelle che chiamiamo B-Corporations, ovvero aziende il cui obiettivo non è portare vantaggio solo ai propri azionisti, ma rappresentare una risorsa anche per altri stakeholder, come i dipendenti e le comunità in cui operano. Questo tipo di imprese saranno sempre più presenti nei mercati sviluppati.


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