Non profit

Guzzetti: «Fondazioni, la Carta è un salto di qualità»

di Riccardo Bonacina

Nei prossimi due anni scatterà il cambio di governance per il 75% delle fondazioni d’origine bancaria; forse è anche per questo che poco meno di un anno fa, il 4 maggio 2011, l’assemblea dell’Acri deliberava di definire a livello di sistema (88 fondazioni d’orogine bancaria), linee guida per un orientamento comportamentale comune, capace di dare sistematicità alle migliori pratiche già sperimentate dalle fondazioni. Oggi, dopo neppure 12 mesi di percorso condiviso, questo strumento ha preso corpo e forma: è la Carta delle Fondazioni che arriva alla vigilia del centesimo compleanno dell’Acri. Un codice di riferimento «volontario, ma vincolante», un documento guida che consenta loro di adottare scelte coerenti a valori condivisi nel campo della governance e accountability, dell’attività istituzionale, della gestione del patrimonio.
La Carta, innanzitutto, ribadisce l’autonomia e la terzietà delle fondazioni. Che significato ha questo richiamo?
Nel giro d’Italia che abbiamo fatto è stato sottolineato che la terzietà delle fondazioni è verso tutti, non solo verso la politica, anche, per esempio, verso poteri economici o verso tutti coloro che vorrebbero piegare la vita delle fondazioni a interessi che non ci sono propri. Perché parliamo di terzietà? Anche qui, di solito l’attenzione si concentra sulle erogazioni, ma il tema della terzietà è importante prima ancora riguardo alla lettura che una fondazione fa di una data situazione economica o sociale: una fondazione non può essere strategica nel suo dare risposte ai bisogni prioritari se non è libera nella lettura della realtà che ha di fronte. La terzietà – e l’autonomia – non è solo quella di evitare di essere subalterni nell’attività erogativa, ma è anche importante nell’essere capaci di dare una lettura autonoma e non condizionata dei bisogni. La discontinuità, poi, è prevista sia in entrata che in uscita, perché pensare di utilizzare la fondazione come un trampolino per un proprio personale progetto politico è disdicevole come guardare a una fondazione come a un buen retiro. Da qui l’impegno a finire i mandati o a non candidarsi appena terminato.
Nella seconda parte della Carta entra in gioco anche la questione “efficacia degli interventi”…
Quello sulla valutazione è l’aspetto più significativo della Carta. Già l’attività erogativa è migliorata, ma l’aspetto più importante è capire quanto gli interventi migliorano effettivamente la vita delle nostre comunità. Oggi che il confine tra sussidiarietà e supplenza è così labile ci è parso poi importante sottolineare la funzione di complementarità delle fondazioni che non potranno mai supplire al ruolo del pubblico. Infine, in questo frangente così difficile nella vita del Paese, abbiamo voluto ribadire la scelta strategica delle fondazioni a sostegno del terzo settore che a noi pare fondamentale perché il terzo settore non si riduca ad essere solo un outsourcing di servizi. Sentiamo davvero questa responsabilità che già le sentenze della Corte aveva sottolineato: l’essere a fianco dei corpi sociali intermedi che non possono essere relegati a fornitori di servizi, ma devono avere il respiro necessario per essere animatori di comunità e protagonisti dell’innovazione sociale.
Un’ultima parte fondamentale della Carta è dedicata al tema della gestione del patrimonio. Quali le priorità indicate?
È certamente la parte più innovativa perché coniugare i principi della legge Ciampi in maniera così precisa e dettagliata è un passaggio che a me pare importantissimo. Tutte le fondazioni devono prendere l’impegno di rendere trasparenti gli investimenti e il perché di certe scelte. Un passaggio che dovrebbe evitare nel futuro alcuni pasticci o disastri del passato. Credo peraltro che le fondazioni si giochino il loro futuro proprio su questo punto.

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