Famiglia

Disabili, il non profit va fuori giri

di Redazione

«Stiamo scoppiando». Bastano queste poche parola a Salvatore Regoli ? ex capo-orchestra di “Domenica In”, conquistato da don Antonio Mazzi e ora presidente dell’associazione Juppiter, legata ad Exodus ? per sintetizzare il boom di richieste per il progetto “Special” che hanno visto nell’ultimo anno. Si tratta delle attività dedicate ai ragazzi con disabilità che dal 2000 Juppiter propone all’interno di tre suoi centri, in provincia di Viterbo e Rieti, con il supporto di una cinquantina di studenti universitari volontari: musica, sport, cucina, teatro, vacanze. «Lavoravamo con una ventina di ragazzi, oggi ne abbiamo 50 e altrettanti sono, nostro malgrado, in lista d’attesa», continua Regoli.
L’impennata di richieste è legata al fatto che «le Asl stanno contraendo i servizi e tanti Centro socio educativi stanno chiudendo». Regoli ci tiene proprio a questa cosa: «Qui gli special non fanno “le attività da disabili”, il corso di musica è lo stesso per tutti e si valorizzano i talenti di ciascuno. Luca ha la sindrome di Asperger ed è un talento assoluto delle percussoni. Si sta insieme, si costruisce un ambiente bello, e si danno risposte che se diventassimo specialisti non riusciremmo più a dare». Così, se nel welfare pubblico la parola d’ordine è «difendere il perimetro», le famiglie si buttano sul non profit e sul volontariato. D’altronde per frequentare i corsi, qui, bastano 30 euro al mese. «Questi numeri ovviamente pongono un aumento significativo di costi», spiega Regoli.
Juppiter non è un caso isolato. Il non profit, soprattutto quello che negli anni ha messo in piedi servizi più innovativi, si sta sobbarcando i costi pur di non abbandonare le famiglie. A Milano dal 1° gennaio 2012 lo Spazio gioco per bambini con gravi disabilità, che L’abilità ha creato sei anni fa, continua ad aprire le porte tutti i pomeriggi ai 45 bambini che lo frequentano, ma senza più i 65mila euro di confinanziamento che il Comune garantiva fino a dicembre. Il progetto Nemo prevedeva anche altri servizi, ma «solo lo Spazio gioco costa 40mila euro l’anno e la nostra maggior entrata sono i 25mila euro del 5 per mille… Abbiamo dovuto scegliere», spiega con rammarico Laura Borghetto, la presidente. A Forlì, invece, la cooperativa Paolo Babini ha trovato in un bando europeo i soldi per continuare a garantire i suoi due progetti per l’autonomia dei ragazzi con disabilità, a cui il Comune di Forlì nel 2011 aveva tolto i 15mila euro complessivi del finanziamento «in un’area», precisa Marco Conti, il vicepresidente, «dove ci sono solo servizi per disabili adulti, ma niente per i giovani».
Le cose non vanno meglio nemmeno nelle situazioni più gravi o per quei servizi che, sulla carta, sarebbero più garantiti. Alla Tau di Arcene (provincia di Bergamo), una comunità che ospita bambini con patologie cerebrali gravi, c’è un mai visto via-vai di bambini, perché «i Comuni non rinnovano più le convenzioni», dice Claudio Roncoroni, il coordinatore. Per risparmiare stanno spostando dal socio-sanitario, a loro carico, al sanitario puro, in carico alle Regioni: «Ma lì case specializzate per i minori non esistono, quindi questi bambini finiscono nelle Rsa, insieme agli anziani, o nelle strutture per gli stati vegetativi». In provincia di Cosenza l’assistenza domiciliare per i ragazzi disabili si è ridotta a cinque ore la settimana e con questo anno scolastico è sparita l’assistenza specialistica, cioè l’educatore pagato dalla Provincia per i ragazzi disabili che frequentano le superiori: «Non ce l’ha più nessuno, eppure lo prescrive il progetto educativo individuale», lamenta Marinella Alesina, coordinatrice regionale di Anffas e a sua volta mamma di un ragazzo disabile. «Sono partiti i ricorsi, così le famiglie dovranno pagare anche le spese legali».


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA