Non profit

Protezione civile allo sbando: «Siamo ridotti all’impotenza»

di Stefano Arduini

Zero. Come i fondi per l’emergenza a disposizione delle casse del Dipartimento. E quasi zero. Come il numero dei piani d’emergenza realmente esistenti sul territorio italiano. Risultato: l’Italia è un Paese a rischio, come mai lo è stato negli ultimi decenni. Franco Gabrielli, da un anno e mezzo mister Protezione civile, affida alla colonne di “Vita” il suo grido d’allarme: «Oggi il nostro sistema non è in grado di fronteggiare le emergenze. Dal passato non abbiamo imparato nulla. Nulla». Tanto è vero che proprio per ri-disegnare i modelli di intervento, a 12 anni di distanza dall’ultimo appuntamento è tornato a convocare gli Stati generali del volontariato di Protezione civile. Un segnale inequivocabile. Partiamo da qui.
Quali obiettivi vi siete dati?
Per migliorare le cose dobbiamo prendere coscienza che il volontariato organizzato di protezione civile in questi anni è cresciuto non solo numericamente, ma anche in termini di aspettative ed esigenze.
Uno dei temi più caldi è proprio quello dei fondi…
Andiamo con ordine. Il primo tema è quello dei valori: la solidarietà, la partecipazione e la democrazia. A cui va aggiunta la gratuità. In questa occasione vogliamo affermare che il nostro volontariato non venga vissuto come forza lavoro a basso costo. Il secondo tema è quello della rappresentanza. Abbiamo bisogno che il volontariato pesi nelle decisioni del sistema.
Insomma, superare la Consulta per far entrare il volontariato nella stanza dei bottoni?
Le posso confermare che noi non intendiamo il volontariato come massa di manovra, ma come asse del sistema. E quello che dico non è banale: abbiamo un mondo del volontariato organizzato ben riconoscibile e ben visibile e un altro mondo, quello dei 2mila gruppi comunali per esempio, molto parcellizzato. In più c’è la massa dei volontari singoli. Che non sono un male, anzi. Anche se dobbiamo sempre tenere a mente che un volontario è lì per soccorrere, non per essere soccorso. E qui si inserisce il terzo tema degli Stati generali: quello dei ruoli di attivazione e di partecipazione del volontariato ai vari livelli: comunale, provinciale, regionale e nazionale.
In altri termini, teme il ritorno degli “angeli del fango” come accaduto in Liguria?
Non bisogna essere manichei. Se come a Genova i ragazzi delle università e delle medie superiori hanno preso le pale spostandosi da un quartiere all’altro della città, questo è un fenomeno da elogiare e da auspicare. Considero invece controproducente chi arriva da fuori senza preparazione. Perché queste persone una volta passate 6/7 ore a spalare hanno poi bisogno di un pasto e di un letto. Senza considerare che in questi casi non si spala solo fango.
Passando da Bertolaso a Gabrielli qualcuno sostiene che il Dipartimento sia diventato meno efficiente. Come risponde?
È una rappresentazione che io contesto. Non è vero che il prefetto Gabrielli, perché è prefetto e perché è attento alle regole, ha un atteggiamento più timido. È una grande fesseria e una grande mistificazione per la semplicissima ragione che il dottor Bertolaso, che io stimo e apprezzo e riconosco come un grande capo della Protezione civile, aveva un vantaggio che Gabrielli non ha più. Bertolaso andava, faceva, tornava in ufficio e si scriveva le regole che poi trovavano riscontro nelle norme. Io prima di muovermi devo avere l’autorizzazione del ministero dell’Economia e della Corte dei Conti. Non è un problema di osare o meno. La mia attività è molto più complessa di quella di chi c’era prima. La struttura così com’è non funziona.
Lei cosa propone?
I controlli devono avvenire dopo, non prima. Non è ingessando le nostre capacità che si garantisce sicurezza.
Sta dicendo che in questo momento la Protezione civile non è in grado di dare garanzie al Paese?
Io credo che per un periodo che può andare da 2 a 4 mesi i nostri comportamenti non possono essere messi di fronte a un vaglio preventivo. Che inevitabilmente rallenta la nostra operatività, come i fatti di questi mesi hanno dimostrato.
Ne ha parlato con Monti?
Il premier è tanto convinto di questa criticità, che ha dato disposizione di modificare la norma.
Nel frattempo cosa ci dobbiamo aspettare?
Sono molto preoccupato. I prossimi saranno mesi difficili. Il primo allarme è quello degli incendi. Ci sono moltissime aree del Paese che soffrono di siccità. Sotto il profilo idrogeologico, poi, il territorio non sta migliorando la sua sicurezza. E in più ci dobbiamo aspettare eventi estremi nella tarda primavera e all’inizio del prossimo autunno.
Che fare?
A fronte dell’impossibilità di mettere mano a una seria politica strutturale, perché servirebbero tempi e denari non reperibili, l’unica soluzione è investire in prevenzione e in piani di emergenza sui territori.
Lo state facendo?
Queste cose non si impongono, attengono alla sensibilità di ogni singolo territorio.
C’è una zona del Paese che la preoccupa maggiormente?
Farei prima a dirle quelle che non mi preoccupano. Dalla Liguria alla Sicilia, alla Calabria hanno evidenziato che non c’è un Nord più evoluto e un Sud meno attrezzato. Domina la macchia di leopardo. Purtroppo il nostro rimane un territorio molto fragile, ma che non ha fatto tesoro degli insegnamenti del passato e che rimane inadeguato sotto il profilo della protezione civile.
Cosa intende?
Non ci sono né piani aggiornati, né strutture, né formazione adeguate. Questo intendo. Lo dico sapendo di esser facile profeta, ma anche che qualcuno potrebbe dire che prima di me le cose funzionavano meglio. Non credo proprio che fosse così. Negli ultimi cinque anni in Italia sono morti per alluvioni e frane 133 persone. Nel solo 2011, 43. Di cui 17 in Liguria, regione che era già stata colpita nel 2009 e nel 2008. Così come la Sicilia aveva già avuto la sua Giampilieri. La media quindi si sta di nuovo alzando. Stiamo tornando indietro. Questi dati hanno una forza anche tragica di fronte alla quale ogni discorso edulcorato perde di senso. Io dico sempre: i piani di protezione civile devono avere tre livelli. Il primo è sapere se esistono. Il secondo sapere se sono aggiornati. Il terzo se la popolazione ne è informata.
In percentuale a che punto di copertura siamo?
Non la metto in numeri, ma sono molto pessimista.

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