La Protezione civile? Una macchina da 4.537 associazioni iscritte al registro nazionale. Ma ce ne sono altre migliaia, locali, attivate direttamente da Comuni e Regioni senza la supervisione del Dipartimento nazionale. Un caos, che coinvolge, in tutto, una stima di almeno 800mila volontari. «Ogni nuovo evento rappresenta per noi un’ulteriore esperienza per migliorarci», afferma Fabrizio Curcio, dal 2008 responsabile ufficio Emergenze, ovvero la seconda carica, dopo il capo del Dipartimento, ad avere potere decisionale all’interno della struttura del Dipartimento di Protezione civile.
È lui a introdurci nella complessa gestione delle emergenze in cui i volontari sono chiamati ad agire: «Dobbiamo parlare di tre livelli di intervento a seconda del grado di complessità della situazione», spiega Curcio. «Il livello A, in cui si opera sotto l’egida dell’autorità locale; il livello B, che necessita di un coordinamento maggiore e viene gestito, nel nostro caso, attraverso le strutture regionali; il livello massimo, C, in cui le competenze sono dello Stato centrale e per la Protezione civile entra in gioco con il Dipartimento nazionale». È quest’ultimo l’ambito che più di tutti catalizza l’attenzione mediatica: «Distinguiamo però tra eventi monitorati ed eventi imprevedibili». Nel primo caso, ad esempio le piogge intense che potrebbero causare alluvioni o gli incendi boschivi («su cui ci concentreremo in queste settimane, siamo alle porte dell’estate»), il Dipartimento nazionale opera in coordinamento con gli enti locali e le proprie colonne regionali, «convocando un Comitato di gestione dell’emergenza, molto flessibile, che può prendere decisioni immediate anche sulle professionalità da coinvolgere nell’intervento», specifica il responsabile Emergenze. Più complessa è la gestione degli eventi non prevedibili, come il devastante terremoto de L’Aquila. «Appena possibile, in concerto con gli altri enti, posizioniamo in loco il Dicomac, la Direzione di comando e controllo, in attesa che il Consiglio dei ministri vari lo stato d’emergenza, utile ad avviare le procedure normative per farci entrare in azione». Se le forze di Protezione civile della regione colpita non bastano, arrivano le colonne delle regioni limitrofe o, comunque, quelle più attrezzate all’emergenza. Le difficoltà di gestione, emerse anche in Abruzzo, non mancano, e a volte è difficile far coesistere il volontariato strutturato con quello spontaneo: «È chiaro che noi vediamo con favore chi si mette a disposizione», ragiona Curcio, «ma l’attività in questi casi deve essere organizzata, non improvvisata». La crisi di volontari organizzati però si fa sentire: sono lontani i tempi del 2009, quando i dati parlavano di 1,2 milioni di persone attive. «Ognuno però può diventare volontario quando vuole, entrando nell’associazione di Protezione civile più vicina, o comunque in quella che più risponde alle proprie esigenze», esorta Curcio.
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