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Dopo la siccità, il golpe Non c’è pace per il Mali

di Joshua Massarenti

Mentre il Senegal si salva, il Mali sprofonda in una crisi che rischia di far precipitare una democrazia stabile da oltre 20 anni in un futuro molto incerto. Tutto inizia il 22 marzo con un golpe militare contro il presidente maliano Amadou Toumani Touré. Verso le 4.15 del mattino, i maliani hanno scoperto il volto dei golpisti attraverso il messaggio televisivo diffuso sulla tv di Stato dall’autoproclamato Comitato nazionale per il ristabilimento della democrazia e dello Stato (Cnrdr) diretto dal luogotenente Amadou Sanogo, un giovane istruttore militare. Il portavoce del Comitato, Amadou Konare, ha annunciato che era stata posta fine al “regime” di Touré giurando che il potere sarebbe stato restituito a un presidente democraticamente eletto non appena il Mali «sarà riunificato e la sua integrità non sarà più minacciata».
Il Comitato ha giustificato il golpe con il sentimento di umiliazione dei soldati maliani impegnati nel conflitto armato che oppone l’esercito regolare ai ribelli Tuareg nel Nord del Mali. Nelle ultime settimane, l’esercito maliano ha subìto sconfitte pesanti per mano del Fronte di liberazione nazionale dell’Azawad e degli jihadisti di Ansar Din. A più riprese i soldati maliani si erano lamentati dell’assenza dei mezzi militari necessari per combattere i Tuareg e della strategia militare poco efficace adottata dai loro generali.
Dopo due settimane, la nuova giunta sembra più isolata che mai. Dalla comunità internazionale piovono richieste per ristabilire al più presto l’ordine costituzionale. Washington, Bruxelles, Parigi ed Ecowas, la comunità economica dell’Africa occidentale, hanno condannato con fermezza il golpe. L’Unione Europea ha deciso di sospendere i suoi aiuti, garantendo solo l’accesso ai fondi per lottare contro l’insicurezza alimentare che sta colpendo la popolazione maliana.

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