Il capitolo più bello di “Insieme”, il nuovo grande libro di Richard Sennett, è quello in cui parla delle prove d’orchestra. Ne parla a ragion veduta, perché uno dei motivi che rendono le pagine di Sennett tanto affascinanti è che, pur cercando di approdare a una visione, la partenza è sempre quella dell’esperienza. Sennett racconta di aver fatto da giovane il musicista anche a livello professionisitco, suonando il violoncello. Scrive: «Nelle arti la scoperta di avere bisogno degli altri è non di rado un vero e proprio choc. Quando si fanno le prove, la capacità di ascolto assume un’importanza vitale, e imparando ad ascoltare, il musicista impara a collaborare». Il “collaborare” della traduzione italiana (Feltrinelli, pag. 336, euro 25) in realtà corrisponde a un termine inglese molto più denso: “co-operare”. La collaborazione è uno scambio di competenze, è un fare sinergia. Il co-operare è un costruire insieme; è avere come obiettivo un’opera comune. Una differenza ben sintetizzata da Sennett nel descrivere quella sua lontana esperienza di orchestrale. Scrive: «Anche se conoscono perfettamente la propria parte, durante le prove devono imparare l’arte dell’ascolto, che manda l’ego in pezzi, perché obbliga a rivolgersi verso l’esterno».
Dai tempi dell’Uomo flessibile, attraverso lo stupendo Uomo artigiano, Sennett in questi anni ha dimostrato di sapere essere un pensatore e insieme un compagno di strada. Le sue riflessioni sono come un libro di istruzioni flessibile, utile perché adattabile all’esperienza di ciascuno. Naturalmente ha sempre in testa la ragione ultima del suo libro: quella di fornire una chiave per aiutare le persone a uscire dalle secche in cui sono finite grazie ai modelli economici e di comportamento dominanti.
«Nel fare musica», scrive Sennett, «esiste una differenza basilare tra esercitarsi e provare; la prima è un’esperienza solitaria, la seconda è collettiva». Ecco, il libro nasce dalla convinzione che nel passaggio dall’una all’altra si gioca il destino di noi tutti. E vuole essere un vademecum che aiuti a rendere possibile questo “salto”.
Cabrini Green
Richard Sennett è nato a Chicago, in un quartiere di case popolari che negli anni 50 era un campo di battaglia, dove si combattevano ragazzoni bianchi e ragazzini neri. L’unico terreno di tregua era una scuola cattolica gestita dalle suore della Beata Vergine Maria, «ottime insegnanti, esigenti e severe allo stesso modo con tutti, senza badare al colore della pelle». Ma l’attenzione di Sennett si concentra su un’altra realtà: il centro sociale laico dove veniva applicata la regola sociale aurea di Charlotte Towle, la teorica dell’informalità nelle relazioni: “consigliare non dirigere” era il suo motto. Per favorire la cooperazione razziale giochi e corsi erano sempre misti, e la conduzione delle attività «era lasciata a noi, senza eccessive supervisioni». Commenta Sennett che l’esperienza del centro sociale simboleggiò «il divorzio definitivo tra sinistra politica e sinistra sociale». La prima puntava all’organizzarsi in grande forza partitica, la seconda puntava tutto sul rafforzamento del tessuto sociale sul territorio: «Nel lavoro diretto nella comunità erano convinti che la rabbia contro il sistema non sarebbe servita ad aiutare i loro utenti a vivere meglio nel quotidiano».
Si tratta di uno degli spartiacque chiave di questo libro: è nell’esperienza della sinistra sociale che Sennett individua i prodromi del “co-operare”. Anche se lucidamente ne coglie anche i limiti e quindi ne spiega anche le sconfitte: la cultura istituzionale che questa sinistra crea non è abbastanza forte per proteggere e far crescere il suo operare.
Una volta famoso, Sennett non ha smesso di frequentare Cabrini Green. Ci andava come volontario per il «desiderio di restituire qualcosa al mio quartiere». Ciò che poteva restituire era un aiuto ai ragazzini a fare musica. Ma a questo punto Sennett deve fare i conti con un altro sentimento inaspettato: «La storia della restituzione suscitava in loro grande ansia: metti che avessi altro di più importante o di meglio da fare e un sabato non mi facessi vedere?». Ai loro occhi il grande ex del quartiere non era del tutto affidabile, e poco alla volta anche il suo desiderio di “restituire” ne risultò intaccato.
L’episodio serve a capire come in questo libro Sennett non proponga mai bei modelli da replicare, ma cerchi sempre i nodi di fondo che impediscono il generarsi di esperienze vere di co-operazione. Non censura mai nessun problema, porta allo scoperto ogni relazione interrotta.
L’inganno della Big Society
La fragilità della sinistra sociale si misura tutta nella partita lanciata dal leader conservatore
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