Non profit

Quello che non vuole capire il professore dell’Illinois

di Riccardo Bonacina

Luigi Zingales, che parla, pensa e scrive da Chicago, e il suo sodale bocconiano Roberto Perotti, hanno l’incubo delle fondazioni d’origine bancaria italiane, almeno a giudicare dalla frequenza dei loro polemici interventi sul tema. L’ultimo, dalle colonne de Il Sole 24ore del 26 febbraio scorso, presenta questi capi d’accusa: a) le fondazioni sono un ostacolo alla modernizzazione del Paese perciò Monti dovrebbe intervenire; b) sono il luogo dell’intreccio tra banche e politica; c) impediscono la contendibilità degli istituti di credito italiani. In definitiva, letteralmente, «le fondazioni sono pericolose tanto più perché sono ammantate di una patina di rispettabilità». Forse spazientito o forse con vero spirito “missionario” e con l’intento di provare a far capire, il presidente della Fondazione Cariplo e dell’Acri ? l’associazione che riunisce le 88 fondazioni d’origine bancaria italiane ?, Giuseppe Guzzetti, classe 1934, si è recato di persona nella piccola stazione radiofonica di Radio Radicale a Milano, ha indossato la cuffia e preso il microfono per un confronto in diretta con il professore-editorialista.
E, con «spirito di umiltà», ma con la capacità di tenere il punto da «avvocato di campagna», per citare le sue stesse parole, ha provato ha spiegare che la realtà delle fondazioni d’origine bancaria è diversa da quella che Zingales con accanimento seriale rappresenta. Ha invitato il professore a recuperare qualche dato di conoscenza sul profondo e innovativo processo di riforma che ha radicalmente cambiato il volto dei secolari enti di beneficenza separando la loro attività di soggetti privati, autonomi e senza scopo di lucro, da quella delle banche diventate spa. Soggetti privati che Gustavo Zagrebelsky, già relatore di una delle sentenze in merito della Corte Costituzionale, definì «soggetti organizzatori delle libertà sociali».
Ma vai a spiegare questo a un professore che siede nei consigli di amministrazione come rappresentante dei fondi di investimento americani… Per lui ogni ostacolo alla movimentazione dei capitali e alla contendibilità delle banche, ogni rito democratico, ogni istanza dei territori sono catalogabili come “familismo italiano” o “clientele politiche”.
«Caro professore, lei starà in America ma qui non abbiamo l’anello al naso e non siamo imbroglioni che agiscono di nascosto, tutto è pubblico, persino i bandi per le nomine», ha reagito Guzzetti rilanciando poi una domanda diretta al professore. «Secondo lei se le fondazioni sono così cattive e le banche italiane così mal amministrate, come mai i fondi americani investono su di noi? Dovrà pur chiedersi come mai l’Italia sia stato l’unico Paese della zona euro a non aver speso un centesimo per salvare banche in default. Così magari scoprirà l’importanza di avere degli azionisti di minoranza ma significativi come le fondazioni; investitori di lungo termine e interessati non già al rendimento a breve, ma alle condizioni di crescita dei soggetti su cui si è investito e dell’economia reale nel complesso, in coerenza con la loro finalità di accrescimento del patrimonio e del bene comune e in coerenza della loro propria missione che è quella e-r-o-g-a-t-i-v-a».
Chissà se Zingales, apparso in difficoltà («Devo riconoscere che la Fondazione Cariplo è la meglio gestita»), si è reso conto di come le fondazioni appartengano alle collettività dei territori, abbiano quale scopo principale la sussidiarietà e i loro organi di vertice debbano associare in via paritaria i rappresentanti degli enti locali e quelli della società civile (università, impresa, cultura, volontariato, Chiese etc). In sintesi, come siano un bene da tutelare anche quando sono da correggere e incalzare.
Giustamente Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà ha chiosato così l’editoriale di Zingales: «Certo, l’Illinois ? dove lei vive e da dove è partito il presidente Obama ? è sull’orlo del default e una fondazione come la Cariplo farebbe davvero comodo. Perché non ci studia un po’ sopra?».


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