Politica

Il governo affida il non profit all’Agenzia delle entrate

di Redazione

Caro Bonacina, il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Elsa Fornero, ha deciso con il governo tecnico di “sopprimere” (è letteralmente scritto così nel comunicato stampa del Consiglio dei ministri del 24 febbraio scorso) l’Agenzia per il terzo settore.
La notizia è che tale decisione non sembra giustificarsi sul piano della necessità di tagliare delle spese cospicue, in epoca di crisi e di debito pubblico alle stelle. È ben noto infatti il modesto budget dell’Agenzia, nel 2011 circa un milione di euro. Peraltro il ministro Fornero, nella sala Protomoteca del Campidoglio in un importante convegno sul welfare, si è dichiarato contrario ai tagli lineari sostenendo che i tagli così concepiti sono contro qualcuno.
Viene il sospetto che si consideri l’Agenzia per il terzo settore (appena dieci anni di vita) un ente inutile. Non importa se le funzioni attribuite ad essa siano esclusive, importanti e cresciute negli ultimi tempi (con il dpcm n. 51/2011) e se la sua attività anche culturale, attraverso le sue pubblicazioni e i due “libri bianchi” sul terzo settore, fosse di stimolo al dibattito nel settore che, come sappiamo, è da riordinare da un punto di vista normativo e fiscale e da rilanciare nella sua funzione di partner delle istituzioni nella funzione di programmazione delle politiche di welfare. Poco importa se svolgeva anche una funzione di monitoraggio e di promozione del terzo settore, risorsa di cui sono state esaltate le potenzialità nel “Libro bianco del Welfare” nel 2010. Peraltro torna per l’ennesima volta in forse il 5 per mille.
Allora occorre decidere se il terzo settore sia o no una risorsa che aiuta il Paese ad uscire dalle sacche della crisi morale, in epoca di corruzione, oltre che economica. Così come occorre decidere se sia o no una risorsa della democrazia, in grado di stimolare la partecipazione dei cittadini responsabili e con essa di promuovere il cambiamento.
Chiudere l’Agenzia per il terzo settore è mandare segnali inquietanti al Paese delle “buone pratiche”, della cittadinanza attiva e ritenere sufficiente avere con esso un ruolo strumentale e di mero controllo. Per questo basta infatti l’Agenzia per le entrate.
Renato Frisanco, Roma


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