Welfare
In queste case di riposo non ci si riposa mai
Il metodo dei centri della Fondazione Opera Immacolata Concezione
Avete presente la classica casa di riposo con gli orari prestabiliti per le visite dei parenti, il canonico salone con la tv piazzata sulla mensola e i volontari che insegnano ai nonni a fare dei lavoretti con carta, forbici e colla? Dimenticatela. Anzi, ribaltate lo schema e otterrete l’identikit dei centri residenziali della Fondazione Opera Immacolata Concezione, la rete di nove strutture di assistenza per gli anziani (ma non solo) sparsa nelle province di Padova, Treviso e Vicenza. Qui, vi troviate nella sede Civitas Vitae di Padova o in quella vicentina di Carmignano di Brenta o trevigiana di Vedelago, i familiari possono accedere a tutte le ore, gli ambienti comuni cambiano destinazione per assecondare le inclinazioni degli ospiti e, soprattutto, i volontari sono gli stessi ospiti. Sono loro, gli anziani, che mettono a disposizione di chi viene da fuori le esperienze e le abilità maturate durante una vita. «Ciò che contribuisce a rendere vive le residenze non sono soltanto le classiche attività di animazione, che pure facciamo, quanto l’approccio costante che guida il nostro operato. Puntiamo a far leva continuamente sul protagonismo nelle relazioni personali, a partire da quelle con i familiari», spiega Fabio Toso, vicedirettore dell’Opera fondata nel 1955 da monsignor Antonio Varotto e da Nella Maria Berto e che oggi ospita oltre 2.200 anziani accuditi da più di 1.500 dipendenti di 27 nazionalità.
«Come tutte le strutture della rete abbiamo delle attività standard come il canto, le tombole o i momenti di comunione religiosa. L’idea di fondo, tuttavia, è un’altra: personalizzare il rapporto, valorizzare gli interessi e le storie particolari dei pazienti», fa eco Paolo Mantese, direttore delle sedi di Thiene e Asiago, in provincia di Vicenza. Da sei anni, racconta Mantese, il centro di Asiago accoglie una signora che svolgeva la professione di concertista, pianista per l’esattezza, e di insegnante di conservatorio. Per lei hanno allestito un’aula di musica dove continua a studiare e a esercitarsi quotidianamente e, soprattutto, dove fa lezione ad allieve esterne. Certo non tutti gli anziani sono in grado di trasmettere la loro esperienza, la maggior parte infatti non è autosufficiente. Ma si prova comunque a capitalizzare in ogni modo le residue capacità dell’anziano. Per un quinquennio, una maestra elementare bloccata su una sedia a rotella ma con la mente lucidissima, ha fatto lezioni a un alcolista ospite in una delle strutture protette che non aveva la licenza scolastica.
L’imperativo, insomma, è evitare che si interrompa la continuità con la vita svolta prima di entrare nelle residenze dell’Opera. «Facciamo di tutto», osserva il vice direttore Toso, «perché l’ospite non si senta istituzionalizzato ma accolto in una realtà che gli offre i servizi utili per mantenere il suo protagonismo nelle relazioni». Gli stessi volontari che partecipano alle attività dei centri, non a caso, non svolgono un ruolo di accompagnamento nelle faccende della vita quotidiana dei nonni e delle nonne ma li «affiancano perché continuino a seguire le proprie passioni».
Anche chi all’apparenza non ha nulla di particolare da insegnare può essere utile agli altri. Basti pensare alla semplice conoscenza della lingua, delle tradizioni e delle usanze del posto. Informazioni ordinarie per chi le ha apprese durante una vita ma preziose, in quanto sconosciute, per chi fatica talvolta a masticare l’italiano o a cogliere il senso di certe richieste avanzate dagli anziani. È il caso del personale socio sanitario dei nove centri dell’Opera Immacolata Concezione, proveniente da quasi trenta Paesi esteri. Capita così di vedere anziani che passano parte del tempo a spiegare la cultura italiana e veneta agli infermieri stranieri o, addirittura, a fare doposcuola ai loro figli. L’anziano diventa così l’ordito di una rete di solidarietà che tiene unita un’intera comunità.
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