Economia

Fondo di Garanzia PMI. È arrivata l’ora di aprirlo al non profit

di Redazione

Il terzo settore è finora assente dalle politiche del governo Monti. Considerati i suoi 500mila occupati, una quota rilevante di Pil prodotta (vicina al 5%) e gli oltre 3 milioni di volontari, il rischio è di sottovalutare il contributo alla crescita e alla coesione sociale che può venire anche dalle organizzazioni non profit. Un punto di osservazione particolare è quello dello sportello bancario, luogo in cui regolamenti e norme trovano attuazione e possono determinare l’effettiva capacità della banca di servire al meglio chi ha di fronte. Da qui, macroscopicamente, si nota come l’Italia stia disattendendo la raccomandazione della Commissione europea n. 361 del 6 maggio 2003, pure recepita in Italia (in parte) con il decreto del ministero delle Attività produttive del 18 aprile 2005. Secondo tale raccomandazione, è considerata impresa «ogni entità, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, che eserciti un’attività economica». Dunque sono imprese anche le non profit, che invece continuano ad essere trattate dal sistema nazionale di regole come mondo a sé, ibrido tra famiglie e imprese, e in quanto tale doppiamente penalizzato nei rapporti con il settore creditizio.
Due oggi appaiono le questioni centrali, che con pochi semplici atti potrebbero essere risolte.
La prima riguarda il modo in cui Banca d’Italia tratta le esposizioni delle banche verso le istituzioni sociali private (Isp, in prevalenza associazioni e fondazioni). Per quelle banche che non abbiano un metodo di rating interno, la gran parte delle banche italiane e la totalità delle banche di credito cooperativo, l’accantonamento di patrimonio che deve essere effettuato per ogni credito erogato al non profit è del 33% superiore rispetto a famiglie e Pmi: se una Bcc presta 100mila euro ad un artigiano o ad una famiglia, il patrimonio che deve accantonare è pari a 6mila euro (100mila x 8% x 75%), mentre nel caso di una non profit è pari a 8mila euro (perché non vale la ponderazione di favore del 75%).
Una differenza non da poco in tempi in cui le nuove regole internazionali rendono sempre più prezioso il patrimonio di una banca. Considerato che ammontano a circa 10 miliardi le esposizioni delle banche italiane nei confronti delle Isp, adeguando il loro trattamento prudenziale a quello delle Pmi, si libererebbe un potenziale di credito ? a parità di altre condizioni ? di oltre 3,3 miliardi di euro. Le banche cioè, con lo stesso patrimonio accantonato oggi, potrebbero fare un terzo in più del credito ad associazioni e fondazioni.
La seconda questione concerne il più importante strumento esistente in Italia per l’accesso al credito: il Fondo centrale di garanzia per le Pmi. Si tratta della principale misura pubblica di sostegno alle imprese, che oggi garantisce oltre 13 miliardi di finanziamenti. La garanzia fornita dal Fondo ? ampliata e rafforzata dal decreto Salva Italia ? consente alle banche di non accantonare patrimonio per la quota di finanziamento garantita dallo Stato. Ebbene, oggi le Isp ? anche quelle dotate di personalità giuridica e iscritte al Registro delle imprese ? non hanno accesso al Fondo. Mettendo l’Italia in una posizione quanto meno di retroguardia rispetto alla richiamata raccomandazione della Commissione europea. A ciò si aggiunga che nell’esperienza delle Bcc i meccanismi di valutazione delle richieste che pervengono al Fondo denotano uno svantaggio relativo in generale della forma cooperativa rispetto alle altre forme d’impresa, e in particolare della cooperazione sociale, spesso confusa con un’organizzazione filantropica. Un semplice intervento regolamentare che riconoscesse le specificità di queste che sono Pmi a tutti gli effetti, favorirebbe una crescita consistente delle loro opportunità di finanziamento.
E se la prudenza porta a domandarsi quale sia l’affidabilità di queste organizzazioni, basta guardare ai dati: le sofferenze del settore bancario sui crediti nei confronti delle Isp sono pari al 3,8%, ben al di sotto della media generale (4,9%), di quella per le imprese (7,1%) e delle imprese con meno di sei addetti (9,5%).
Non vi sono dunque ragioni valide per impedire che queste due semplici ma determinanti misure per il non profit vengano attuate: equipararne il trattamento prudenziale a quello del retail; consentirne l’accesso al Fondo di garanzia per le Pmi. Liberando così risorse a sostegno del terzo settore, del suo contributo occupazionale, del welfare in cui svolge un ruolo fondamentale. Le Bcc sono già pronte a fare la loro parte.


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