La grande distribuzione incontra l’alta moda, rigorosamente etica. Un sodalizio inusuale ? ma coerente ? quello che vede protagonisti Coop, prima catena della grande distribuzione in Italia, e Katharine Hamnett, celebre designer britannica, impegnata fin dagli anni 80 nella promozione della moda etica. Sua è l’invenzione delle “slogan t-shirt”, magliette con messaggi pacifisti recentemente indossate anche da Naomi Campbell. Dal 2003 la Hamnett disegna e produce capi di abbigliamento usando esclusivamente cotone biologico, coltivato rispettando l’ambiente e i diritti dei lavoratori. Un know-how di creatività e sostenibilità che sta alla base della linea Solidal Coop: una collezione primavera-estate in cotone certificato, con capi per lui, per lei, e per i bambini. Obiettivo, «sensibilizzare i consumatori sull’impatto ambientale e sociale delle scelte d’acquisto. Anche quando si parla di abbigliamento», spiega la Hamnett.
Come nasce la decisione di collaborare con Coop?
Da anni il mio obiettivo è realizzare vestiti che siano belli esteticamente, ma che siano anche prodotti secondo criteri etici, e Coop è la migliore catena in Europa per quanto riguarda la responsabilità sociale d’impresa. Ciò che ci accomuna è una grande intesa sui valori: la decisione di lavorare insieme è venuta di conseguenza. Per me questa collaborazione ha poi un valore aggiunto molto importante, ovvero la possibilità di distribuire i nostri capi d’abbigliamento non attraverso rivenditori tradizionali, ma attraverso il sistema cooperativo, che si basa proprio su quei principi di eticità ed equità che difendo da sempre. Con questa nuova collezione, oltre alla moda etica, speriamo infatti di contribuire a promuovere anche il sistema cooperativo. Per Coop abbiamo creato una slogan t-shirt dedicata, che recita “Together is possible”, ispirata all’Anno internazionale della cooperazione.
Che cosa l’ha spinta a dedicarsi esclusivamente alla produzione di capi di abbigliamento sostenibili?
Alla fine degli anni 80 avevo raggiunto il culmine del mio successo, e in quel periodo cominciai a farmi delle domande relativamente ai costi ambientali e sociali dell’industria della moda. Quello che ho scoperto mi ha sconvolto: la coltivazione di cotone tradizionale rappresenta il 10% dell’agricoltura mondiale e utilizza il 25% dei pesticidi. L’industria tessile risulta essere tra le maggiori responsabili della contaminazione delle falde acquifere e produce enormi emissioni di gas serra, per non parlare degli effetti devastanti che ha sulle popolazioni dei Paesi in via di sviluppo. Nel 2003, durante un viaggio in Mali, vidi di persona le condizioni terribili a cui erano costretti i lavoratori nelle piantagioni di cotone e decisi che dovevo fare qualcosa. Così fondai la Katherine E. Hamnett, la mia linea di moda, dove E indica proprio l’impegno etico nei confronti delle persone e dell’ambiente.
È davvero possibile gestire un’azienda sostenibile e rimanere competitivi nell’industria della moda?
L’industria tessile è ancora restìa ad accettare il modello di produzione etico, ma le cose stanno cambiando. Le persone che si informano sulla provenienza dei prodotti che acquistano è in costante aumento. Circa il 30% dei consumatori oggi sceglie il prodotto da acquistare tenendo conto dell’impatto ecologico e sociale che la sua produzione comporta. Creare vestiti belli, economici ed etici è possibile, lo dimostra quello che abbiamo fatto con Coop. Non si tratta più solo di indossare una maglietta, si tratta di indossare qualcosa che può avere un impatto decisivo sull’ambiente e sulla vita delle persone che la producono.
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