Non profit
Ma c’è chi resiste: crescono le onlus che si prendono cura dei beni comuni
Resistono, resistono ancora. Anche se il fuoco di fila che da mesi sta bersagliando la Grecia sta fiaccando anche loro. Sono scesi in piazza per riappropriarsi degli spazi pubblici delle loro città, da Atene a Salonicco: sono le centinaia di persone che il fine settimana ripuliscono parchi, ridipingono biblioteche, piantano alberi e organizzano attività culturali aperte a tutti. Al pianto greco preferiscono l’attivismo civico. Anche per questo sono considerati uno dei fenomeni sociali più interessanti della Grecia a rischio default. L’ennesima manovra lacrime e sangue imposta da Bruxelles mette in crisi anche loro. «Puntare il dito contro qualcuno o qualcosa a questo punto è un gioco inutile», sottolinea Elena Papalabrou, 29 anni e un lavoro nella ong greca Elix. È una delle cinque promotrici di Atenistas, un’associazione nata nel 2010 a Exarchia, il quartiere “anarchico” della capitale. «Abbiamo vissuto per anni al di sopra delle nostre possibilità, in un modello drogato dalla spesa pubblica e dal credito facile, un sistema che non poteva reggere a lungo e che infatti ora si sta sgretolando. Il problema è che manca una prospettiva su quello che potrà essere il nostro futuro».
Ma Berlino tira dritto
Il senso di smarrimento che trapela dalle parole di Elena è una delle ragioni che ha spinto molti greci a promuovere e a partecipare alla vita di nuove associazioni che si prendono cura dei beni comuni. «Abbiamo bisogno di poter credere che dandoci da fare, impegnandoci in prima persona, ritirando le deleghe in bianco che ingenuamente avevamo concesso, ci siano ancora delle possibilità per tornare a essere un Paese normale». Negli ultimi mesi il numero delle persone che partecipano alle iniziative di Atenistas e delle altre organizzazioni attive nel resto della Grecia stanno crescendo. «Ma il disagio e lo smarrimento di chi partecipa», puntualizza Elena, «è ogni giorno più evidente. E se lo è tra coloro che hanno deciso di fare qualcosa per il loro futuro, immagino quale possa essere lo condizione di coloro, e sono in molti, che hanno deciso di smettere sperare». Il nuovo diktat della Troika ? Ue, Bce e Fondo monetario internazionale ? ha imposto ad Atene altri pesanti sacrifici. In cambio di una tranche da 130 miliardi il Parlamento è stato costretto ad approvare una nuova manovra, la quinta, che prevede il licenziamento di 15mila dipendenti pubblici entro l’anno, 150mila entro il 2015 (un quinto dei greci lavora nel pubblico), tagli alla spesa per i farmaci di 1,1 miliardi e la riduzione del 22% del salario minimo, che scenderà a 560 euro. Parigi e Berlino sono più preoccupate di salvare le loro banche, fortemente esposte verso Atene, che degli effetti che misure così drastiche stanno avendo sulla società greca.
Allarme suicidi
Nell’ultimo anno il numero di persone che si è tolto la vita è cresciuto del 40%. L’organizzazione Klimaka gestisce un telefono amico per la prevenzione dei suicidi: «Qualche anno fa», ricorda lo psicologo Aris Violatzis, «arrivavano non più di 10 telefonate al giorno. Negli ultimi mesi ne riceviamo anche 100». «Quando vediamo le immagini mandate dai tg», commenta George Statakis, economista e vicerettore dell’università di Creta, «abbiamo la sensazione di essere diventati spettatori delle nostre vite. I nostri destini si decidono altrove. Siamo stati la culla della democrazia, ora la nostra democrazia è in sala di rianimazione. Vive solo perché è attaccata a una macchina, e i comandi non sono più nelle nostre mani».
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