Famiglia

E intanto Atene spende in armi il 3% del Pil

di Redazione

Il paradosso del tracollo greco non sono le altissime spese militari. Sono i nomi di chi obbliga la Grecia a tali spese, esportando armi a tutto spiano nella penisola ellenica: Francia e, soprattutto, Germania. Ovvero i due super Stati Ue che ogni giorno da qualche mese a questa parte (con la longa manus del Fondo monetario internazionale) decidono se allentare o meno il cappio attorno al collo del Paese a rischio default. I numeri sono da capogiro già da almeno un decennio, con la Grecia sempre al primo posto in Europa e intorno al quinto-sesto posto nella top ten mondiale, nella percentuale del Pil spesa in armi: in media il 3% (più del triplo dello 0,9% speso dall’Italia, stando ai dati del Sipri, l’autorevole istituto svedese di ricerca sulla pace), con il picco di 7,6 miliardi di euro del 2010. «Prima c’era la scusa della corsa greca agli armamenti per la tensione con la vicina Turchia. Ma ora non è più così, è chiaro che si tratta di un’imposizione esterna, in primis franco-tedesca», spiega Francesco Vignarca, coordinatore della Rete italiana per il disarmo. La prospettiva è addirittura quella di un ulteriore balzo in avanti nel 2012, quando entreranno tra le voci di spesa i 3,9 miliardi di euro per i 60 caccia Eurofighter appena ordinati (da pagare a rate annuali al consorzio costruttore, formato dalle maggiori potenze Ue). Se si aggiungono sei fregate, 15 elicotteri e un numero imprecisato di motovedette ordinate alla Francia (totale 4,4 miliardi), 223 carri armati e due sommergibili alla Germania (2 miliardi) già commissionati negli ultimi anni, la spesa greca è impressionante, «ancor più se confrontata ai sacrifici che vengono chiesti ai cittadini», aggiunge Vignarca. «Siamo di fronte a una nuova forma di guerra basata sull’economia: l’arma è il debito pubblico, che tiene sotto scacco un’intera nazione». E gli armamenti, da mezzo bellico, diventano un fine: più ne vendi, più guadagni. [D. B.]


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