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Il governo Monti non è una parentesi. È un capolinea

di Alessandro Banfi

Sono passati esattamente vent’anni dall’arresto di Mario Chiesa. E il caso di Luigi Lusi, il senatore amministratore della Margherita, che ha ammesso di aver sottratto 13 milioni di euro del finanziamento pubblico, segna un punto simbolico e storico insieme. Segna la fine della Seconda Repubblica, se mai possa essere chiamata con questo nome. Amava ripetere Giulio Andreotti: «Il sistema democristiano è durato più di 40 anni, quello di Giovanni Giolitti 20 e 20 il regime fascista, vediamo quanto durano questi?». Ebbene, con il caso Lusi, e in presenza del governo Monti, possiamo davvero dire che “questi” sono durati vent’anni. L’intervista di Silvio Berlusconi al Financial Times in cui ha promesso di non ricandidarsi alle prossime elezioni l’ha sancito anche internazionalmente.
Il governo Monti non è solo la necessaria parentesi tecnica in cui i poteri economici nazionali e internazionali si prendono in carico il Paese in un momento drammatico. Sta diventando anche la fine di un sistema di partiti. Di un’idea del bipolarismo basata su due “principini”, due leader indiscussi e fatalmente populisti, come sono stati Berlusconi e Prodi in questi anni. Partiti formati sull’immagine del proprio leader, in un dominio delle apparenze. Schieramenti sintetizzati dal capo carismatico che alla fine determinava tutto, parlamentari compresi.
È un mondo finito quello dei Rutelli, dei Fini, degli Alfano, dei Bersani? Con ancora ottime singole persone (penso ad uno come Enrico Letta) ma con un sistema che non regge più. La politica vera ha bisogno di obiettivi, che catalizzano l’organizzazione. Fra le formazioni politiche di oggi si salva forse in parte la Lega Nord, e in un certo senso l’Italia dei Valori. La prima ha l’obiettivo della Padania, ammesso che esista. La seconda la moralità pubblica e la fine della Casta. Entrambe vogliono cambiare l’Italia di oggi, a modo loro.
Il resto ? Pd, Pdl, il Terzo polo, persino il Sel ? sono destinati a non interessare più la maggioranza degli italiani che peraltro finora li ha votati. E non si tratta di un moralismo stupido o di un giustizialismo d’accatto. Si tratta di guardare con obiettività ad un appagamento degli schieramenti in un sistema che di fatto sta implodendo. Il caso Lusi è in un certo senso apocalittico, perché segna davvero la fine dei tempi della politica italiana.
Bisognerebbe essere forse filosofi della politica e riprendere la grande lezione di Augusto Del Noce sul suicidio della rivoluzione, attualizzandola. Oggi infatti assistiamo ad un vero e proprio suicidio del bipolarismo che si ritrova svuotato di significati, di grandi ideali, di dilemmi che dovrebbero portare a scelte importanti degli elettori. Alla perenne guerretta civile italiana (la tragedia da noi è anche sempre farsa) fra i due schieramenti si è opposta una tregua, quella del governo tecnico di Monti, dopo la quale niente sarà più come prima.
Allora la società civile italiana avrà di fronte una nuova sfida e allora capiremo se può e come può tornare la politica in questo Paese. Perché ce ne sarebbe bisogno. Mai come adesso.

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