è quella di renderlo obbligatorio, facciamolo». L’ex premier sceglie VITA per lanciare la sua nuova battaglia. E al governo Monti dice: «Se facesse sua questa sfida andrebbe ad impattare in profondità sul nostro tessuto sociale»La scintilla fra Romano Prodi e il servizio civile non è un fuoco dell’ultima ora. Tutt’altro. Risale, ed è lui stesso a raccontarlo in questo dialogo con VITA, alla fine degli anni90 quando col suo maestro Beniamino Andreatta «passavamo ore a ragionare su come gestire la fine della leva». A quel tempo il professore di Scandiano era il numero uno della Commissione europea, ma il servizio civile rimaneva «una mia ossessione». Un’ossessione che oggi torna alla carica. E non poteva essere altrimenti considerata la nebbia che ha avvolto negli ultimi tempi il servizio civile nazionale, l’erede nato nel 2001 sotto l’egida dell’allora capo dell’ufficio nazionale Guido Bertolaso. Fondi ridotti al lumicino e ragazzi sempre più frustrati dall’impossibilità di accedere a un sistema che si sta rivelando di nicchia. «Così non si può più andare avanti», attacca Prodi dallo studio bolognese della sua Fondazione per la collaborazione fra i popoli.
Il servizio civile sembra essere finito in un tunnel, come se ne esce?
Con Andreatta pensavamo a un servizio obbligatorio di sei mesi con tanto di divisa per i ragazzi e le ragazze in servizio. E pensavamo che ognuno potesse scegliere fra servizio militare e servizio civile. Oggi evidentemente non può più essere così. La fine della leva obbligatoria, riguardo alla quale l’Italia con rapidità ha seguito la scelta francese, ha cambiato le carte in tavola e deve aprire una riflessione totalmente nuova in materia. In altre parole, non si può rimettere il dentifricio nel tubetto, ma la prospettiva per rilanciare questo fondamentale istituto non può che essere la formula di un servizio civile di massa e quindi, in assenza di alternative, del servizio civile obbligatorio, purché preparato con cura e fatto bene. Occorrono quindi serietà, tempo e risorse.
Un’ipotesi che lei aveva già provato a rilanciare qualche anno fa in almeno due occasioni, ospite prima delle Acli e poi di don Mazzi. Da dove nasce l’urgenza di rimettere sul piatto questo tema?
Mai come in questo momento i nostri ragazzi hanno la necessità di avere la possibilità di mettersi al servizio delle persone e del loro territorio. Il servizio civile, come su un altro fronte il programma Erasmus, è uno strumento formidabile per la crescita dei giovani. Certo non li rende più sapienti, ma di sicuro cambia la prospettiva delle persone, mette i ragazzi di fronte a possibilità e alternative di vita che prima probabilmente nemmeno immaginavano. Direi che in questo frangente in cui lo scoramento nelle giovani generazioni ha raggiunto livelli preoccupanti, questa è una possibilità importante.
Il governo dei tecnici di Monti è nato per fare quello che i governi politici non sono stati in grado di fare fino ad oggi. Secondo lei potrebbe valere anche per il rilancio del servizio civile?
Non sono in politica e non sta a me dire quello che un governo deve o non deve fare. Naturalmente sarebbe un’operazione che io vedrei molto positivamente perché sarebbe qualcosa che andrebbe ad impattare in profondità sul nostro tessuto sociale.
Rimane il nodo dei fondi. Per il servizio civile in cassa ormai è rimasto ben poco. Lei sarebbe favorevole a una riduzione della diaria dei volontari?
Non sono in grado di entrare nel dettaglio delle cifre. Quello che penso è che un contributo ci debba comunque essere, perché è il modo per rendere sostenibile per tutti i giovani un’esperienza di questo genere, ma non deve essere confuso per una sorta di mini stipendio. Il principio della gratuità e della donazione di una parte della propria vita alla comunità rimane centrale.
È stato oggetto di polemiche nelle ultime settimane: aprirebbe le porte del servizio civile agli stranieri?
Se il senso è quello dell’arricchimento personale e della comunità, la risposta è sì. Ma mi rendo anche conto della necessità di una gradualità nell’introduzione di così tante novità. E allora dico: iniziamo a creare un buon servizio civile obbligatorio per i ragazzi e le ragazze italiani. Dopo di che penseremo agli stranieri.
Nella sua vita ha guidato istituzioni di primo livello. Fosse oggi a capo di una grande azienda o di un importante ente pubblico, come valuterebbe un curriculum comprendente il servizio civile rispetto a uno che ne è privo?
Negli Stati Uniti, ma anche in alcuni Paesi europei, un’esperienza in Africa di quattro mesi in un progetto di sviluppo o l’aver prestato servizio in un’organizzazione sportiva o di assistenza ai ragazzi fa acquisire punti per qualsiasi tipologia di professione. In Italia se uno ha fatto il servizio civile nemmeno lo mette nel curriculum, e in ogni caso questo aspetto non viene quasi mai preso in considerazione. E invece la capacità di confrontarsi con problemi e strutture diverse da quelle a cui siamo abituati è un grandissimo valore aggiunto. Ed è venuto il momento che tutti se ne rendano conto. Questo è davvero un aiuto ai giovani e alla coesione di tutta la società italiana.
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