Non profit

Non ci manca l’altruismo Ci manca l’amore

di Redazione

Nonostante il tanto parlare di generosità, la nostra società tende a negare il dono. O ad ammantarlo di retorica. Invece è reciproca accoglienza, e gioia per l’incontro che accadeNel festival della retorica nazionale, quando i nostri rappresentanti politici, culturali ed economici provano a fare un bilancio degli aspetti positivi che, nonostante tutto, si riscontrano nella vita quotidiana degli italiani, il tema ricorrente che come una sorta di bacchetta magica trasforma questo squallido Paese di egoisti in un paradiso di generosi, è quello del volontariato. Il volontariato è il fiore all’occhiello che ciascuno tende a mettere in evidenza come la prova che ancora esistono i buoni sentimenti e che essi alla fine ci salveranno dalla nostra monadica ottusità, indifferente a ogni sofferenza e a ogni disagio.

L’apologetica del volontariato
Mi sento molto estraneo a questa apologetica dell’arruolamento delle nuove leve nel soccorso alle vittime di un’alluvione o di un terremoto. Mi viene spontaneo chiedermi dove si trovavano tutti questi illustri personaggi quando il disastro non era ancora accaduto e, forse, ci si poteva impegnare per evitarlo. Voglio perciò parlare del volontariato a modo mio, per quello che mi viene in mente assistendo ai filmati che mostrano centinaia e forse migliaia di ragazze e ragazzi che con assoluta spontaneità si tuffano nelle acque limacciose per salvare chiunque si trovi in pericolo di vita o graffiano con le mani e con le pale le rovine di un edificio per cercare di salvare un sepolto vivo di cui si sente ancora il respiro. Bisognerebbe mandare in scena questi filmati senza commenti e senza interviste, facendo parlare i comportamenti e i volti di questi ragazzi e ragazze senza alcun commento che ne esalti le straordinarie qualità.
Sono convinto, infatti, che i giovani volontari che si mobilitano rispondono essenzialmente ad una spinta interiore che non ha nulla a che vedere con la precettistica delle buone azioni o con la retorica dell’altruismo. Ciò che caratterizza l’azione di questi giovani mi sembra infatti soprattutto la spontaneità e la normalità con cui mettono a rischio la propria vita per gettarsi nella mischia delle catastrofi a salvare il salvabile in nome di una solidarietà senza codici prefissati e senza doverosità imposte da qualche esperto di etica sociale.
Questi ragazzi vogliono semplicemente provare a se stessi che la loro attività di aiuto conta perché viene accolta da chi la riceve in una condizione di reciproca fraternità umana. Questi ragazzi, in realtà, salvano se stessi dalla indifferenza e dalla insensatezza del mondo perché sanno intimamente che soltanto trasmettendo amore se ne può ricevere in cambio senza contabilità del dare e dell’avere.
C’è un vecchio proverbio che mia madre ripeteva spesso: «Amor con amor si paga». Banale e semplice, se si vuole, nella sua apparente ovvietà, ma in realtà assai significativo se si capisce che nella reciprocità dell’amore sta il vero senso del dono di sé e anche della propria vita. Non credo alla tradizionale contrapposizione di egoismo e altruismo, come se l’altruista fosse un egoista pentito che cerca di espiare il proprio senso di colpa. Il vero altruismo non può essere nominato in contrapposizione all’egoismo giacché esso consiste nella scoperta personale che la relazione tra due esseri umani, vissuta amorosamente, è l’unico sentimento che permette di vincere in se stessi l’angoscia di morte.
È proprio alla luce di questa profonda contrapposizione tra la giocosità di una relazione amorosa e la solitudine, che mette ciascuno di noi di fronte al terrore del nulla, a fare del dono la forma originaria e archetipa della relazione amorosa. Il dono ha senso proprio perché chi dona riceve l’accoglienza dell’altro, e perchè trasmette il senso del ri-conoscersi come un reciproco entrare l’uno nell’altro. Raffaele Carrieri in una bella poesia scrive «ci siamo infine ri-conosciuti come i grilli caduti dal cielo d’estate, come gli zingari rovinati da un medesimo editto», e proprio così abbiamo potuto scoprire la fraternità amorosa che ci unisce nelle relazioni affettive.

Nessuna restituzione
Si sono scritte molte teorie sul dono, c’è un’intera scuola di pensatori francesi che ha lavorato sulla cultura del dono nelle civiltà primitive e in quelle attuali, ma debbo confessare che l’eccesso di teorizzazioni ha finito col trasformare il dono in un concetto e in una definizione, mentre esso rappresenta, a mio modo di vedere, l’ineffabile della relazione affettiva. Proprio per questa convinzione sono convinto che, nonostante il tanto parlare di carità e generosità, la nostra sia una società che tende a negare il dono e comunque a relegarlo tra forma arcaiche di rapporti tra gli uomini, o a farne uno strumento interessato per ottenere la gratitudine del beneficiario. Sono convinto, invece, che è la spontanea accoglienza del dono che risponde al sentimento di chi dona e che non c’è nessuna restituzione se non quella che si sostanzia nel sentimento della reciproca accoglienza dell’affetto provato nel momento in cui si compie l’azione e si esprime la gioia per l’incontro che accade.

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