Welfare

Ieri dalle valli, oggi dal deserto

A Brescia, nel quartiere dove la "cittadinanza aperta" è un destino storico

di Marco Dotti

Il Carmine te lo trovi lì, a due passi da piazza della Loggia, pulsante come un souq con i suoi call center pakistani, le macellerie halal, i venditori di spezie e parrucche, l’oratorio, il Circolino di Radio Onda d’Urto e poi quelli che in auto, via Spagna, o in nave, via Genova, ti offrono un viaggio di andata, e forse anche di ritorno, per Tangeri. Forse, insiste Karim, «perché da qui, se te ne vai, con la crisi che c’è, te ne vai per sempre». Lui però rimane. E sembra pure contento. Parla bene l’italiano, l’ha imparato per strada e affinato ai corsi serali che i volontari organizzano. Lavora sul campo, con altri immigrati, per la tutela e l’informazione sui loro diritti. Ci racconta del suo lavoro, ci offre un caffè e prima di salutarci ci dice che no, «il Carmine non è il paradiso, ma non è nemmeno l’inferno. Forse i bresciani stanno cominciando ad apprezzarlo proprio grazie a noi, che ci battiamo per una cittadinanza aperta».
Un manifesto in arabo invita i fedeli a rivolgersi alla locale agenzia per l’hajj, il pellegrinaggio alla Mecca. Accanto al negozio di cineserie che espone il manifesto, c’è uno di quei vecchi bar che ti servono ancora birra Wuhrer ? un tempo orgoglio dell’industriarsi bresciano ? e spuma scura. Camminando nelle stradine laterali ci si imbatte in una delle tante prostitute che, sedute su una seggiola, non si rassegnano all’avanzare del tempo. Dicono il loro “no” pure se siedono, direbbe Brecht, dalla parte del torto. Anna ha 65 anni, è “zia” (le chiamano così) da mezzo secolo, ne ha viste tante. Parla del quartiere, e ti dice di guardarle bene, queste stradine strette con nomi come vicolo dell’Anguilla, via delle Battaglie, via delle Grazie, incastonate come schegge nel cuore ricco della città. Ti dice di guardarle di giorno e di riguardarle notte, perché qui c’è «più dignità che altrove». Ha ragione: qui c’è dignità, e la convivenza la vedi, sotto la scorza del conflitto, nonostante la droga e la mala che, forse, al Carmine è solo più evidente, perché legata a un immaginario che affonda le proprie radici in un’altra immigrazione, tutta italiana, che interessò il quartiere nella prima metà del XIX secolo. Un quartiere che, ci racconta Gianni Jori, uno storico locale, «per posizione, storia e vocazione, meglio si prestava ad accogliere il flusso immigratorio verso la città, alimentato dalle vallate delle Alpi bresciane». Forse le premesse sono tutte, ancora una volta, nella Storia che raccoglie tante storie, le sedimenta, le fa vivere. Quartiere che si scopre non solo della “mala” e della prostituzione, dell’immigrazione clandestina, ma anche di chiese e oratori sempre pieni e fedeli. In una via antistante abitava anche il Giovan Battista Montini, il futuro Paolo VI.
Qualcosa è rimasto in bilico, nei secoli, in questo spazio-altro della città appeso e sospeso tra sacro e profano. Forse sono le case, splendide anche nella decadenza, nel cotto degli interni che un tempo ? per garantire vie di fuga ? comunicavano tutte tra loro. Forse è l’atmosfera respirata nei secoli, in quel rapporto con una realtà ben più cruda di quella dei “sciur”, i signori. Un rapporto fatto, per rubare le parole a Testori, di sobillazione e di bestemmia, di crimine e perdono. Ma anche di un tempo più lento rispetto alla Brescia che negli anni d’oro correva dietro al tondino e alle banche. Un quartiere da amare, dunque, più che da temere. E “I love Carmine” è stato il nome dato alla festa con caldarroste e cous cous, giocoleria e canti che sul modello di via Padova a Milano è stata organizzata il 5 novembre scorso dalla Consulta per l’Ambiente del Comune, in collaborazione con una ventina di associazioni. Un modo, ha ricordato Gabriele Bernardi, dell’Associazione Diritti per tutti, per far «incontrare i cittadini» tra di loro, affinché si sviluppi un concetto più ampio, consapevole di comunità dei diritti. Per tutti.


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